Non ho mutuato il titolo di queste considerazioni dall’ottimo libro del
compianto G. Bocca, che pur lessi ed apprezzai, ma al significato
proprio delle parole latine facilmente traducibili. Aggiungo ricordando
ancora Bocca, il quale quasi mai individuò nel dispiegarsi del divenire
del “Belpaese” momenti positivi, pervasi come dire di ottimismo, che nel
libro citato concluse viceversa con una nota di speranza che trasse dal
movimento del popolo viola che proprio in quel periodo fece sentire la
propria voce e la propria presenza, tentando di contrapporsi “alle
imprese” del “banana”.
L’anno che di qui a pochi giorni chiude i battenti è stato veramente
orrendo, orribile, e lo scoppio d’ira che agricoltori, camionisti,
piccoli commercianti, disoccupati senza futuro hanno prodotto sorretti
da una sorta di “alba dorata” nella versione italiana costituisce il
risultato di quello che è avvenuto durante l’anno.
Se è possibile rappresentare con una metafora quanto sta avvenendo in
questo scorcio d’anno nelle strade di mezz’Italia si potrebbe dire che
la crisi è tremenda ed il movimento dei “forconi” è il suo profeta.
Non è dato sapere sulla base delle previsioni, sovente contraddette da
fatti nuovi o proiezioni di elementi considerati nel loro svolgimento
positivi e che invece alla fine si presentano contraddittori se non
proprio negativi, come continuerà l’andamento della crisi.
Il liberismo ha continuato ad imperversare e ad imporre attraverso le
grandi organizzazioni mondiali quali il FMI, la BM e la BCE i suoi
postulati. Le articolazioni dirette e gli organismi da esse derivanti a
cominciare dalla Commissione Europea, la quale è una se non forse la
principale istituzione dell’Unione Europea per l’attuazione delle sue
politiche, hanno continuato ad imporre rigidamente i dettami monetaristi
o paramonetaristi con la Germania, che di fatto svolge il ruolo di
regista e rigido controllore dell’applicazione di quei comandamenti.
In questo quadro i paesi più deboli e tra questi il nostro hanno
rischiato e continuano ancora a rischiare di andare letteralmente a
gambe a quarantotto. C’è un’antinomia in questa politica, una
contraddizione insolubile ed è l’incompatibilità che deriva tra il
seguire le ricette cosiddette monetariste ossia quelle proposte ed
imposte come già osservato dal FMI, dalla BM e dalla BCE e la necessità
di riaprire i cordoni della borsa pubblica.
Alle constatazioni di cui sopra facilmente riscontrabili, attraverso
come dire una lettura a volo delle condizioni in cui versa il paese se
ne aggiunge un’altra, che alla stregua di quanto è avvenuto si può dire
che costituisca, come apprendemmo tanti anni fa, la contraddizione
principale e che nella fattispecie è il tempo.
In breve bisogna fare presto perché un paese che presenta tassi di
povertà, di disoccupazione, di diminuzione cronica della capacità
produttiva dovuta in primo luogo al mancato rinnovo del cosa, del come e
del quanto produrre, tutte variabili strettamente connesse
all’invecchiamento specialmente del secondario produttivo per
l’incapacità od anche la scelta di non ammodernare l’economia reale
perché da una parte si è scelta la strada della finanziarizzazione della
stessa e dall’altra quella di trasferire in altri paesi interi settori
industriali, rischia dall’oggi al domani il pericolo dell’avventura,
accentuata questa ipotesi dalla illegalità di massa, da una illegalità
cioè che controlla ed opera in quasi tutto il territorio del paese
ormai. Elementi quelli accennati che hanno concorso e concorrono
ulteriormente alla costruzione dello sconforto collettivo, come lo ha
chiamato il 9 dicembre il prof.De Rita del Censis.
E la vittoria di Renzi è la prova di quella richiesta pressante di una
parte del paese che va ad aggiungersi a quella già espressasi attraverso
il movimento 5stelle. La classe dirigente della seconda repubblica conta
ormai quanto il due di briscole con l’eccezione forse del “banana” che
ha ancora margini di interlocuzione tra l’enorme massa dei cd arrabbiati
delle tasse, della burocrazia, dello Stato che non c’è come avviene
nella scuola, nella sanità, nella giustizia, nel sistema pensionistico,
nei trasporti, nella spaventosa massa di mezzi che il bilancio pubblico
stanzia per servizi talvolta inutili ovvero inefficaci ed inefficienti e
quindi controproduttivi – si pensi per esempio al settore della
formazione -
Tutto ciò significa a mio parere che Renzi ha poco tempo a disposizione
perché da una parte chi lo ha scelto ha visto in lui il decisionista,
una figura peraltro che egli stesso si è accreditato a cominciare
giustamente dalla necessità di procedere alla rottamazione del ceto
dirigente degli ultimi vent’anni (forse ?) fino al politico capace di
rimboccarsi le maniche e procedere in breve all’apertura dei cantieri
della ri/costruzione del paese e quindi opere pubbliche per le bonifiche
dei territori avvelenati, opere pubbliche per la messa in sicurezza e la
costruzione di nuovi stabili della scuola, l’impulso con nuovi fondi, ma
anche nuove intelligenze per la ricerca pura e di quella applicata con
il coinvolgimento dei settori industriali risanati e poi la sanità,
l’ambiente, il coinvolgimento delle realtà locali in materia di nuove
infrastrutture invasive, la soluzione del grande problema dei migranti a
cominciare dalla cittadinanza a chi nasce in questo paese fino al
problema dei dannati della terra ossia coloro che spinti dalla fame e
dalle persecuzioni nelle loro terre vedono in quelle dell’Europa “la
terra promessa”. Un corollario di decisioni insomma che crei
immediatamente lavoro, lavoro ed ancora lavoro.
Certo “il banana” non è che rispetto a Renzi possa avere una vita più
semplice. Alla luce di quanto ha fatto nei 20 anni della sua carriera
politica non si sbaglia se si afferma che egli sia un immediatista, uno
che sa che al domani non c’è certezza, tuttavia è stato il tipo che con
i suoi illimitati mezzi è stato capace come lo è tuttora di trovare
quasi sempre la risposta per il suo elettorato e quindi di rimettersi in
sella e continuare.
Non sono in grado per esempio di capire come i “consigliori” del
“banana” affronterebbero l’unione bancaria europea resasi necessaria per
la crisi del debito sovrano in Eurolandia e il contagio che esso ha
prodotto nei confronti delle banche. In breve per ripatrimonializzare
l’intero sistema bancario europeo è stato calcolato che necessitino
qualcosa come 280 miliardi di euro di extra capitale. Quanti ne
necessitano per il sistema bancario italiano ? E da dove dovrebbero
essere attinti se non dal bilancio dello Stato che attualmente gode di
uno stato di salute pessimo e con un deficit che supera il 130% del Pil
per un valore stimabile in oltre 2050 miliardi di euro. Consiglierebbero
l’uscita dall’euro ? Un suggerimento non campato in aria si badi,
tenuto presente che “il banana” nell’autunno del 2011, secondo quanto
affermato da Hans-Werner Sinn, presidente dell’Istituto di ricerca
congiunturale tedesco, Ifo-Institut, durante il convegno economico
“Fuehrungstreffen Wirtschsft 2013” organizzato a Berlino dal quotidiano
“Sueddeutsche Zeitung” aveva avviato le trattative in sede europea per
uscire dalla moneta unica. Una decisione che sia in grado però di ben
valutare i costi ed esser capace di promuovere le contromisure a
cominciare dalla nazionalizzazione del sistema bancario compresa
naturalmente quella centrale, così come il blocco della fuga dei
capitali e la nazionalizzazione di alcuni settori industriali strategici
come l’energia, i trasporti, i telefoni, l’elettricità.
Che fare? (ogni riferimento a Vladimir e quanto hanno fatto a Kiev gli
ultranazionalisti di Svoboda è puramente casuale).
è tempo ed anche
con immediatezza di uscire dagli sterili massimalismi teorici cui fa da
contrappunto una sorta di minimalismo pragmatico in assenza di una
organizzazione di classe o per lo meno di un’ alternativa
anticapitalista e riprendere la pratica dell’organizzazione, perché
quello che gira in questo paese è anche jacquerie, ma è jacquerie
organizzata con ampi mezzi e di chiaro stampo di destra, vecchio e
sempre lo stesso, ma proprio per questo temibile con una nota
ulteriormente preoccupante qual è quella della fraternizzazione tra le
forze di polizia ed i manifestanti. Nulla di nuovo potrà dire qualcuno
ben conoscendo gli orientamenti politici di massima delle forze di
polizia, ma così palesemente espressi non era mai capitato di vedere.
Antonio Casolaro - Caserta
Dicembre
2013