Pensiero Meridiano

Ma i "forconi" forse non c'entrano

di Antonio Casolaro

Era facile capire, durante “i moti” di Acerra, alimentati dalle popolazioni del territorio contro la costruzione dell’inceneritore dei rifiuti urbani, che tra i manifestanti c’erano persone, i don, che con le finalità del movimento non avevano nulla, ma proprio nulla da dividere. Eppure la notte, garzoni di bar, inviati da “anonimi benefattori”, i don, si presentavano con fumanti caffettiere, dispensando bevande calde, oppure durante il giorno “radio amicizia” informava sugli spostamenti e sulle possibili intenzioni delle forze dell’ordine.

Bisognò convenire, alla luce di quelle apparenti disponibilità disinteressate, che all’inizio il rifiuto del termovalorizzatore con la sostituzione della raccolta differenziata porta a porta, da attuarsi attraverso un lungo e costante periodo di insegnamento pratico nei confronti delle popolazioni del territorio, trovava il consenso e soprattutto l’interesse della camorra, la quale da una parte col trasporto e dall’altra con i legami ben solidi con i partiti specialmente quelli del cdx intendeva proporsi come il “nuovo” soggetto della soluzione del problema rifiuti.

L’era Bassolino/ Bertolaso/Impregilo/Berlusconi è ben salda nel ricordo degli acerrani e non solo, e la dichiarazione del 26 marzo 2009, rilasciata in occasione dell’avvio dell’impianto, dal Presidente del Consiglio Berlusconi, il quale disse che lo stesso era così all’avanguardia da essere il modello degli altri impianti del futuro, ancora oggi costituisce la metafora dell’incapacità e dell’improvvisazione che sono stati alla base del problema rifiuti di Napoli e provincia e del regime dei sedici anni e forse più del “piccolo uomo” di Arcore.


L’agricoltura delle terre a nord di Napoli quelle della vecchia “Terra di Lavoro” forniva raccolti di alta qualità per la fertilità dei suoli, per la facilità nell’approvvigionamento dell’acqua, per la vicinanza dei mercati.

Oggi le produzioni di quelle terre trovano difficoltà nella collocazione perché i consumatori diffidano ed a giusta ragione sulla salubrità dei prodotti, dal momento che ampi terreni sono stati avvelenati dai rifiuti tossici delle industrie del Nord, affidati, per lo smaltimento, alla camorra. Gli agricoltori di quelle terre sono alla disperazione.

Se si potesse, con una sorta come dire di flashback, riproporre la storia dei contadini del mezzogiorno a partire dalla caduta del fascismo e della fine della seconda guerra mondiale, si potrebbe di certo concludere che i braccianti, i senza terra, “i cafoni” del Sud hanno solo ricevuto promesse.

E non è a dire che i contadini meridionali rimasero fermi in attesa della risposta del destino o delle istituzioni. Tutt’altro perché se c’è stato un movimento di pressione, di orientamento politico ben chiaro nella sua maggioranza, deciso, anche violento, soprattutto perché costretto a rispondere alle scelte di normalizzazione dei governi che si susseguirono dal 1948 tutti a guida DC, è stato quello dei braccianti pugliesi, siciliani, calabresi, lucani e campani. L’occupazione delle terre costituì l’epopea e l’emblema della lotta contro il latifondo. Un periodo durante il quale contadini e braccianti, diretti dalle “leghe”, ma anche in maniera autonoma, decisero che era il momento di farla finita con i grandi proprietari assenteisti che vivevano comodamente nelle città, senza curarsi minimamente di quello che accadeva sulle loro terre e di chi viveva di stenti.

Nei territori delle regioni accennate prima si svolsero battaglie decisive e terribili, entusiasmanti, bellissime per la partecipazione e la solidarietà anche di classe, ma anche dolorose con morti e feriti conseguenti agli scontri con la polizia di Scelba come si disse allora, con i “gabellotti” i mafiosi e i camorristi che uccidevano per conto dei proprietari. Caddero tanti contadini ed insieme a loro i riferimenti e gli organizzatori di quelle lotte come Placido Rizzotto, Salvatore Carnevale, Francesco Nigro, Marziano Girelli ed altri.

Nelle lotte contadine del dopoguerra ed oltre c’era l’entusiasmo, la felicità, la speranzosa attesa degli abitanti del meridione attratti più degli altri dalle parole nobili come democrazia, socialismo, libertà, potere alle masse.


 Le occupazioni delle terre incolte, la fine del latifondismo dovevano trovare il culmine definitivo con la riforma agraria, che doveva sancire il nuovo ordine “della terra a chi la lavora”.

Ma non fu così perché la legge di Riforma n.841 del 21 ottobre 1950, denominata non a caso “Legge stralcio” in quanto anticipava una più completa legge di riforma che non vide mai la luce, deluse profondamente le attese dei contadini.

Non è la sede questa per rinnovare il “tradimento” che la classe politica egemone del tempo produsse nei confronti dei contadini, basti dire soltanto che pochi mesi dopo nel giugno del 1951 al 2° congresso della Terra tenutosi non a caso ad Eboli – dove, come scrisse Levi, si era “fermato Cristo” – il relatore denunciava i limiti della legge 841, affermando che la stessa non era la riforma voluta ed auspicata. La legge stralcio non fissava un limite permanente alla proprietà terriera; i meccanismi di scorporo erano estremamente complicati, consentendo così a molti proprietari di evadere ed infine le terre separate venivano pagate con un riscatto smisurato, che di fatto riduceva al minimo la capacità d’investimento degli assegnatari. La conclusione era di riprendere la lotta.

Il mondo contadino fu sconfitto e negli anni successivi il progressivo impoverimento delle zone rurali del mezzogiorno, lo smantellamento del tessuto industriale esistente fino ad allora (la rivolta di Battipaglia con morti e feriti dell’aprile 1969 per la chiusura dello zuccherificio e della manifattura del tabacco è una delle tante prove), - mentre nel nord del paese ed in Europa si incrementava lo sviluppo economico ed industriale – fornì la base del fenomeno migratorio degli anni ’50 e ’60. Nell’arco dei quindici anni che vanno dal 1946 si registrarono oltre 7 milioni di espatri, qualcosa come 270 mila unità all’anno. Se si esclude il Friuli il resto del flusso emigratorio provenne tutto dalle regioni meridionali.

Il pur grandioso movimento di lotta dei contadini meridionali terminava senza peraltro impedire che la DC consolidasse in quegli anni il suo potere e soprattutto al sud. A ciò va aggiunto che la DC, inserendo nei ruoli chiave delle amministrazioni locali, nei consorzi e negli enti i propri uomini – valga per tutti la Coldiretti di bonomiana memoria -, esercitava un potere di “controllo” assoluto. Le azioni essenziali dei dirigenti dell’Ente Riforma – di nomina governativa e senza alcun controllo possibile da parte del parlamento – quali l’espropriazione dei terreni ai latifondisti e le relative assegnazioni ai contadini, lasciava ampi spiragli a discriminazioni e favoritismi in uno ovviamente a risentimenti, odi e rancori generazionali.


Com’è noto l’agricoltura nei paesi del cd primo mondo e non solo è ampiamente assistita e fruisce quindi del sostegno degli stati. Negli Usa per esempio la legge agricola del 2002 comunemente conosciuta come FSRIA o 2002 Farm Bill ha stanziato 293 miliardi di dollari dei quali quasi l’85% è riservato alle Misure di sostegno alla produzione ed alle Misure a favore dell’alimentazione. Sul primo titolo, atteso che la legge ne fissa X, oltre a prevedere sussidi a favore della produzione di arachidi, di soia ed oleaginose minori, sono stati fissati i tassi di pagamento su base unitaria per tutta la durata del periodo (2002-2011). Sono previsti anche i cd prestiti di assistenza al mercato e vengono pagati ai produttori quando il prezzo di mercato di una delle commodity (prodotto agricolo) considerate nel programma va al di sotto di un determinato livello di prezzo prefissato.

Stessa cosa avviene in Francia dove i sussidi agricoli sono stati progettati principalmente per accrescere il reddito agricolo, sia innalzando il lungo termine a livello di prezzi al di sopra dei livelli del libero mercato o fornendo i pagamenti diretti agli agricoltori. Si aggiunge che fin dalla nascita della cd PAC – Politica Agricola Comune - la Francia ha usufruito in maggioranza dei fondi stanziati, raggiungendo da sola il 20% del totale degli stanziamenti europei. Prova ne sia che proprio attraverso i sussidi la Francia è diventata il secondo più grande esportatore di prodotti alimentari dopo gli Stati Uniti.


Il nostro paese, incapace come già abbiamo fatto cenno quando abbiamo affrontato il problema della mancata riforma agraria, di prefigurare ed attuare una politica seria e remunerativa per l’agricoltura si è ridotto alla fine a sostenere un’agricoltura ibrida perché basata sulle grandi proprietà che hanno di fatto usufruito dei fondi statali e comunitari, lasciando del tutto scoperta la miriade delle piccole e piccolissime cd aziende agricole del tipo di quelle gestite dai coltivatori diretti, i quali non hanno mai potuto affrontare e rispondere alla politica agricola imposta dai grandi produttori. Ne è derivata un continuo e permanente disagio di migliaia e migliaia di coltivatori la cui loro attività si è sempre limitata a quella della sussistenza individuale e familiare, divenendo spesso strumento da una parte delle lobbies agricole e dall’altra dell’illegalità della mafia, della camorra e della ndrangheta.


Questo breve excursus ha l’intento, di sostenere, almeno da parte del redattore, e finanche di giustificare quanto promosso e organizzato nel mese di gennaio in Sicilia e non solo dal movimento dei “Forconi”.

C’è forse un continuum tra le manifestazioni che si sono svolte in lungo e largo della Sicilia e non solo e tutto quello che è stato promesso e mai realizzato in Sicilia, ma anche in Calabria, in Sardegna, in Campania e così via nel settore dell’agricoltura ed in quello della pesca nei cinquant’anni e più della Repubblica.

Certo più di uno ed a giusta ragione dirà che una parte del movimento dei “Forconi” è stata irretita da forze politiche neofasciste, le quali sono pronte a cavalcare qualsiasi disagio popolare per scopi tutt’altro che favorevoli alle masse che si agitano. Il disordine ampio, sfrenato, senza controllo ed incontrollabile che crea disagi, stanchezza e paure nelle popolazioni per la destra è uno strumento che sottende alla fine un “ordine nuovo”, quello che dipende dai pochi, siano essi militari o civili, ma che si estrinseca nell’abolizione innanzitutto di qualsiasi libertà e di qualsivoglia democrazia. Paradossalmente, ma è un paradosso solo apparente, i movimenti reazionari agiscono nella democrazia, chiedono gli spazi e le libertà democratiche di espressione, di stampa e di manifestazione per poi una volta raggiunti gli scopi che si prefiggono sospenderla fino a revocarla.

Tutto ciò è vero e va sempre tenuto presente, tuttavia di fronte allo sfaldamento ormai totale dei partiti della sinistra ridotti a mera testimonianza le esplosioni di popolo vanno capite. L’inchiesta è la prima e saggia decisione di chi vuole e deve intervenire affinché quell’ira si trasformi in movimento di massa, diventi movimento generale e complessivo i cui effetti degli esiti dei risultati connessi alle battaglie intraprese riguardino tutta la comunità.

Allora va chiarito innanzitutto che il movimento dei “Forconi” è una esperienza che nasce dal basso e chi lo dice è don Giuseppe Di Rosa, parroco della chiesa madre di Avola, presente il 20 maggio dell’anno scorso all’uscita del cinema Odeon di Avola dove s’era tenuta una grande assemblea alla presenza dell’allora ministro dell’agricoltura Saverio Romano. A quell’incontro ha ricordato il prete fu invitata anche una delegazione di pastori sardi per capire come erano riusciti a dare voce al loro disagio. Fu un pecoraio della provincia di Messina, Peppe Scandurra che con Mariano Ferro costituisce l’asse portante del movimento, che ad un certo momento esclamò “Forconi, chiamiamoci così”.

Naturalmente ci tiene a precisare don Giuseppe, 71enne concittadino di Ferro, parroco della chiesa madre di Avola, laureato a Roma in teologia, specializzato in sociologia a Parigi, innamorato della rivoluzione culturale del ’68 per causa della quale gli altri preti gli danno del marxista, che quella dei Forconi è solo una sigla perché in realtà il movimento ha radici lontane e nasce intorno alla metà degli anni novanta col problema delle quote latte. La prima riunione ha ricordato il sacerdote si tenne in aperta campagna dalle parti di Filaga sui monti Sicani ed i presenti non superavano le cento unità. I contadini ha ricordato ancora il sacerdote parroco non avevano nemmeno i soldi per una pizza e spesso stavamo ore ed ore a discutere, senza mangiare.


Intanto la crisi ha continuato a distruggere il tessuto agricolo. Circa 50 mila aziende agricole sequestrate perché i proprietari non hanno pagato le quote latte sono state messe all’asta dal governo nazionale e regionale. Veri momenti di disperazione hanno attraversato questo settore così importante ed essenziale della vita economica e sociale della Sicilia.

La tanto invocata liberalizzazione, intesa come risposta al mercato globale ha assunto il ruolo di panacea di tutti i mali dell’umanità, come si legge e si racconta ormai dai tempi della sig.ra Teatcher e di Mr. Reagan, cui hanno fatto seguito e riferimento gli apprendisti stregoni di mezzo mondo sia che vestissero gli abiti della destra che quello del csx, sia che si trattasse del governo del bagaglino condotto dal nano di Arcore che quello dei professori bocconiani, è sul banco degli imputati.

L’agricoltura siciliana in particolare si è trovata ad affrontare il mercato globale senza alcuna protezione. Ciò ha significato e significa da una parte vendere le produzioni agricole al prezzo del libero mercato e dall’altra ad acquistare i mezzi tecnici per produrre ossia gasolio, concimi, sementi, etc. a prezzi condizionati dalle politiche fiscali dello Stato.

Per esser più chiari valga l’esempio della produzione dell’ottimo ed antichissimo frumento duro siciliano. Il prezzo di collocazione del grano è lo stesso di quello che realizza il furmer USA o Canadese, tuttavia il costo del gasolio per produrlo, pur avendo il barile di greggio più o meno la stessa quotazione sia in America che in Italia, in Sicilia come in tutto il paese poi è del 40% in più rispetto a quello praticato nel Corn Belt. Ed il gasolio per l’agricoltura meccanizzata moderna forse è la materia che maggiormente incide sulla produzione. In termini economici non c’è bisogno di ulteriori e scientifici chiarimenti. I ricavi si riducono drasticamente per cui rispetto ai concorrenti globali l’agricoltura italiana e specificamente quella siciliana diventerà sempre più debole e quindi incapace di affrontare il mercato.


In questo quadro il governo Monti ha praticamente chiuso ogni altro spazio di manovra. L’azione della legge “Salva Italia” (???) alla fine si è dimostrata eccezionalmente gravosa per il settore agricolo, incidendo oltremodo sui costi fissi e variabili con aumenti che in alcuni casi hanno raggiunto il 300%. Una prova di ciò sta nel fatto che gli operatori della ricca ed opulenta agricoltura della provincia di Varese hanno manifestato per le difficoltà economiche conseguenti alla manovra del governo dei professori.

In Sicilia poi la gestione dei finanziamenti PSR (Piano di Sviluppo Ragionale) avviene in modo molto clientelare, causando ulteriori aggravi ad una situazione già precaria e compromessa. In aggiunta a ciò la riscossione Sicilia-Serit (l’Equitalia siciliana) si distingue così come in Sardegna, per l’immediatezza con la quale procede alla iscrizione delle ipoteche e per i fermi amministrativi connessi ai mancati pagamenti delle imposte.

I debiti verso la Serit ed il nuovo consistente aumento delle accise sul gasolio sono stati il detonatore delle rivolte scoppiate sul finire del mese di gennaio e che placatesi momentaneamente intorno al 31 gennaio da lunedì 6 febbraio riprenderanno così come deciso durante l’assemblea tenutasi il 2 febbraio dal Movimento dei Forconi alle Ciminiere di Catania. La Jacquerie siciliana ha promosso un’altra strategia che “non penalizzerà” più i siciliani e l’economia siciliana, ma tenterà di bloccare le autobotti in uscita dalle raffinerie siciliane e dirette verso il continente. Contemporaneamente saranno allestite tende fuori ai municipi e fuori le principali sedi della Serit. Anche i pescatori intendono muoversi bloccando i principali porti dell’isola e di partecipare alla manifestazione di martedì 7 febbraio davanti a Montecitorio insieme a tutti i pescatori italiani.

Sarà pure un caso, ma certamente non deporrà a favore del Governo la decisione assunta mercoledì 1° febbraio dal ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Mario Catania di autorizzare l’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) il pagamento entro la settimana di pagamenti in sospeso per circa 340 milioni di euro. Qualcuno è legittimato a credere che le manifestazioni in atto hanno accelerato i tempi ? Posizione non peregrina!


Conclusioni

Il bell’articolo “L’ombra del caimano” che il “Portale del Sud” ha pubblicato il 31 gennaio 2012 è il commento più chiaro e lucido di quanto accade in Sicilia negli ultimi giorni e giustamente si sofferma, interrogandosi pure, sul cammino del paese dal momento che le agitazioni dei contadini, dei pescatori e degli autotrasportatori siciliani non appartengono solo e soltanto ad una delle terre più interessanti per genialità, per intelligenza dei singoli, per storia e cultura passata e recente dell’intero pianeta.

Il disagio dei siciliani può essere esteso a buona parte del paese tutto. Con una particolarità però che è quella del debito secolare contratto dall’Italia nei confronti delle regioni e degli abitanti del meridione.

Un debito che è un’accusa quotidiana alla classe dirigente, chiusa ormai nella sua torre d’avorio dell’autolegittimazione, del perpetuarsi del proprio status, degli stipendi, delle indennità, delle facilitazioni, dei benefit, che gravano tutti quanti a carico della comunità nazionale, mentre il paese arranca paurosamente giorno dopo giorno. Una classe dirigente che ha espresso un governo costretto alle dimissioni per la evidente incapacità di un uomo e della sua compagine governativa in larga parte fatta di uomini ad immagine e somiglianza del suo presidente del consiglio è fallita in modo meschino. Sono stati tre anni e sette mesi di menzogne, di stupidità, di cattive figure nelle sedi di mezzo mondo, di bugie tese a nascondere la verità del fallimento. Basti pensare al debito pubblico che aumentava, mentre il capocomico e la sua compagnia, recitando a soggetto affermavano il contrario della realtà.

Se il “ giovanotto da camera” di Arcore può definirsi l’epitome degli ultimi 18 anni di questo paese, l’opposizione, quella che doveva controllare, è stato una sorta di Belfagor “il fantasma del Louvre”. D’altra parte le recenti inchieste della magistratura sui 13 o 11 milioni volatilizzati dalle casse della vecchia “margherita” la dicono lunga sulle intenzioni e la capacità della compagine ex DC e se a ciò si aggiungono le pene di Penati, il disastro di Bassolino in Campania e così via, il quadro si completa da solo rafforzando l’immagine del fantasma Belfagor. Ha scritto l’11 novembre 2011 Giovanni Di Lorenzo sul Die Zeit di Amburgo del quale ne è direttore che “L’Italia non è stata capace di scuotersi di dosso con le proprie forze questo più arrogante e più terrificante di tutti i presidenti del Consiglio italiani per la sua lunga permanenza al governo. Vi sono state proteste,ma nessuna rivolta. E soprattutto non vi è stata alcuna opposizione che sia stata in grado di rovesciare Berlusconi”. Dopo di che non c’è più nulla d a aggiungere.

I Forconi per finire sono allora l’immagine del paese, una sorta dei fai da te, quasi un percorso obbligato per imporre il problema, un j’accuse alla società politica ed alle sue diramazioni a cominciare dai sindacati, i quali guarda caso rendendosi conto dei danni immensi prodotti dalla coppia Berlusconi/Monti e solo dopo che “Forconi” ,Pescatori e Autotrasportatori hanno sommovimentato l’intera Sicilia e non solo, dichiarano lo sciopero del comparto del trasporto privato per il 1 marzo p.v.: meschini!

Antonio Casolaro


Articolo trasmesso dall'autore il 3/02/2012

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