La
legge dei grandi numeri
di
Antonio Casolaro
Sì,
correva proprio il mese di Aprile 1955 ed a Torino era in corso il congresso
del PSI. Il mese precedente – marzo 1955 – la Cgil era uscita notevolmente
ridimensionata dalle elezioni per il rinnovo delle commissioni interne
tenutesi alla Fiat. Il paese, intendendo per tale quello dei contadini e
degli operai, continuava a non vivere un buon momento.
Ed
infatti nella sua relazione Nenni disse che “la democrazia aveva avuto
dalla Resistenza il compito di dare vita a uno Stato che per le masse, per
gli operai e specialmente per i contadini non fosse più nemico”. Andando
avanti nel suo intervento il segretario del Psi formulò il noto slogan dello
“Stato forte con i forti e non forte con i deboli”. Mi colpirono
quelle parole ed a quasi sessant’anni da quando le lessi, le ritengo sempre
attuali, segno senz’altro che in questo paese lo Stato ed il suo potere non
sono mai stati forti con i forti. Leggerle poi come titolo dell’editoriale
del mese mi hanno fatto capire che la tensione per la denuncia del
malcostume e dell’arroganza del potere costituisce il valore portante dei
redattori del “Portale del Sud”. E’ evidente che in questi presupposti,
intesi come scelta di vita aderisco e mi riconosco pienamente.
Il
cavaliere si dice che abbia chiesto un turno di riposo, durante il quale
intende studiare le strategie future per il paese e riorganizzare l’armata
brancaleone del suo partito, che negli ultimi tempi aveva registrato più di
un forfait. La verità è che un paese non si governa con le chiacchiere né
tantomeno ignorando i problemi e cosa ancor peggiore nascondendone la
gravità. Se a ciò si aggiunge che a livello internazionale i tempi per le
barzellette e per la presunta fama di macho avevano superato il limite della
sopportazione, si capisce che poco c’è mancato che in qualche cancelleria
europea non fosse accompagnato alla porta e messo fuori a pedate. Di qui il
passo indietro. A questa decisione qualcuno emise un sospiro di sollievo,
sperando che “i professori” chiamati al capezzale dell’ammalato fossero in
grado, dopo aver diagnosticato la patologia sofferta, di somministrargli le
cure necessarie.
Una
delle prime valutazioni, che gli eminenti accademici credo che abbiano fatto
è stata una sorta di anamnesi recente e forse anche remota dell’infermo,
considerato che per quasi 18 anni il degente è stato allevato dalle a dir
poco bizzarre cure del “ghe pensi mi”.
Il
quadro che i professori hanno acquisito a dire il vero non è che non fosse
noto, certamente la gravità era dissimulata dalla paranoia del “tappo” e
dalla coorte della compagnia “ditegli sempre di sì”, tuttavia i dati
trimestrali della Banca d’Italia e quelli mensili dell’Istat denunciavano il
disastro economico e finanziario del paese. Negli ultimi tre anni sovente si
è assistito al teatrino che mentre i dati via, via formulati dagli organismi
predetti venivano divulgati, il gigante “tappo” li leggeva a modo suo
invertendone il significato, per cui alla fine il paese era ricco, le
famiglie piene di soldi, i giovani tutti al lavoro ed i ristoranti pieni,
anche se quotidianamente sui giornali si leggeva che vasti strati della
popolazione con i loro magri redditi non arrivavano alla fine del mese.
Di
fronte a questo guaio “il ghe pensi mi” e la sua coorte si resero
conto che bisognava farsi da parte e chiedere l’aiuto dei grandi luminari, i
quali forti anche del sostegno di Re Giorgio hanno preso il timone della
nave per disincagliarla dai bassi fondali della crisi.
Va
detto che pochi sprovveduti si aspettavano miracoli e risultati immediati, i
più infatti sapevano come sanno ancora che la navigazione è piena d’insidie
e che i pirati non incrociano soltanto le coste somale. Nel “civile
occidente” gli abbordaggi e gli arrembaggi provengono dalle grandi
organizzazioni mondiali ed europee come il FMI, la BCE, l’UE, le Big Three
di rating come Standard & Poor, Moody’s e Fitch Ratings, le quali decidono
sul destino di miliardi di esseri umani nel nome del Dio profitto.
Di
buona lena i professori si sono messi al lavoro ed hanno concepito il
decreto “Salva Italia” che il Parlamento ha trasformato in legge.
Gli
autori dell’editoriale cui mi riferisco hanno in modo egregio e chiaro
sottolineato il paradosso di fondo del decreto che è l’iniquità che
accompagna l’intero articolato che professori e Parlamento hanno generato.
Hanno agito a senso unico i professori, con una protervia ed una cattiveria
che le lacrime della rappresentante del dicastero del lavoro ne hanno
denunciato in modo eloquente la misura e la profondità dei tagli e perché no
delle infamie disposti.
E’
vero che le guerre, almeno fino all’ultima, le hanno combattute in buona
parte i contadini e gli operai coscritti, tuttavia alla fine una parvenza di
giudizio popolare o quantomeno la storia i responsabili li ha identificati e
giudicati.
Con
i professori, salvo i calcolati ed elettoralistici “sussurri e grida” dei
seguaci del “sole delle alpi” o di quelle più misurate del profeta di
Montenero di Bisacce, si son trovati tutti d’accordo compresi i sindacati, i
quali, ridotti ormai alle effimere agitazioni, come si è soliti fare con i
succhi di frutta prima dell’uso, non contano nulla più.
In
conclusione ha pagato la povera gente, hanno pagato i redditi fissi, hanno
pagato i pensionati, hanno pagato i cinquantenni, hanno pagato le donne,
hanno pagato gli inoccupati, i disoccupati, le giovani ed i giovani. Bravi i
professori e con essi bravi i peones del governo precedente insieme
all’amico di don Verzè, così come bravi non c’è che dire sono risultati i
rappresentanti delle cd forze responsabili dell’ex opposizione, le quali
tuttavia sono risultate tali solo a senso unico, tutte a sfavore delle
categorie meno abbienti come appunto quelle del reddito fisso e quelle al
colmo senza reddito.
Il
carattere assurdo ed esagerato che ha assunto la politica d’intervento
iniziata con l’insorgere della crisi, specialmente in Europa, è ormai sotto
gli occhi di parecchi.
Nel
nostro paese per esempio il fatto che si parli di articolo 18 quando
viceversa il problema è chiaramente quello della disoccupazione di lungo
periodo od ancora che la banca centrale abbia deciso e promosso di passare
attraverso il sistema bancario europeo per sostenere i paesi con problemi di
cosiddetto debito sovrano, consentendo però allo stesso sistema bancario di
far ampi e lucrosi profitti nell’intermediazione, denuncia con chiarezza la
misura del ruolo assunto dalla finanza nel sistema economico internazionale
prima e di tutti i paesi poi.
Ruolo che si manifesta con maggiore chiarezza, e che forse trova nei
professori i suoi profeti e i suoi sostenitori, nel fatto che gli stessi
mercati finanziari con i loro comportamenti omertosi hanno contribuito in
modo determinante allo scoppio della crisi. Oggi gli stessi mercati
finanziari sono i giudici della qualità delle manovre economiche finalizzate
per risolvere secondo loro i problemi del debito pubblico (per es. la
lettera di Trichet e Monti al Cavaliere e quindi il decreto del 6 dicembre
2011), i quali appunto affidano agli yes-man o ai meglio identificabili
professori liberisti lo svolgimento dei lavori sporchi delle decimazioni di
massa.
L’incredibile, proseguendo nella valutazione della fase sta nel fatto per
esempio che in momenti di crisi è senz’altro molto, ma molto più difficile
che una società come la nostra, che sta pagando da anni costi elevati, sia
nelle condizioni che le proprie strutture sociali – pensioni, sanità,
scuola, ricerca, pubblico impiego, lavori pubblici, beni comuni - si adatti
alle regole imposte dai mercati finanziari, e non il contrario.
Dov’è infine la contraddizione logica che emerge dal comportamento dei
governi del “ghe pensi mi” e dei professori? La contraddizione risiede nel
fatto che un diritto sostenuto non solo da un vasto ed acquisito retroterra
di letteratura materiale, e che si è tradotto in sistema di vita che si è
affermato e consolidato, non è più possibile separarlo dagli apporti
analitici e dai fatti che lo hanno prodotto e concretizzato dal nascere
della Costituzione fino all’apparire dei devastatori ad una dimensione del
teatro dei pupi condotti dal puparo degli ultimi 18 anni.
Se
una scienza riconosciuta per neutrale quale è quella delle rilevazioni
statistiche eseguite da organizzazioni dello Stato od anche dal Centro Studi
della Banca d’Italia od ancora dalla Confindustria hanno verificato ed
assodato uno spostamento negli ultimi anni nella distribuzione del reddito
tra i 10 e 15 punti percentuali del Pil a favore del capitale è evidente che
i professori come minimo avrebbero dovuto metter mano a queste rapine e
compensarne i danni. Ciò anche perché lo sviluppo di lungo periodo richiede
scelte come quelle sulla distribuzione del reddito: altrimenti per esempio
la domanda chi la sostiene? Il Cavaliere, i Professori? Puaff!
La
madre di tutte le questioni resta senz’altro l’occupazione, con tutte le
conseguenze che essa implica dal punto di vista della politica economica
(?!). Ciò significa assumere una politica che prorompa nello scenario
macroeconomico della crisi, che diventi la forza e la continuità di una
sfida permanente perché coinvolge e si riferisce in termini di salvaguardia
– penso a Fincantieri, a Termini Imerese, a Omsa, ai Ferrovieri, ai
Trasporti pubblici, alla scuola, all’Università, etc – e di riqualificazione
– penso alla ricerca di processo e di prodotto – della struttura produttiva,
così come alla necessità di nuove regole – penso alla sicurezza del lavoro,
all’integrazione dei lavoratori migranti – fino alla ricomposizione dei
processi di frammentazione del lavoro – penso al superamento dell’arcipelago
dei tanti lavori perché il lavoro è unico sotto tutti i cieli del mondo si
svolga – che possono rompere la coesione sociale.
Come
concludere? Necessita un profondo cambiamento, certamente difficile, ma non
impossibile. Intorno c’è una moltitudine in movimento da Camilla in
Cile, ai “we are 99%” negli Usa, alle primavere arabe del
mediterraneo, ai No Tav in Val di Susa., alla Fiom, ai Cobas.
Antonio Casolaro
Articolo
trasmesso
dall'autore il 10/01/2012
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