Le pagine della cultura

 

Rosa Grillo

I Canzuni

La canzuna è il genere popolare più diffuso nell'ambito della produzione letteraria dialettale siciliana. Migliaia di esemplari sono stati raccolti e pubblicati tra l'800 e il primo trentennio del '900 da Giuseppe Pitrè e da Lionardo Vigo. Sono in gran parte anonimi e, pur toccando vari temi, privilegiano quello dell'amore: il corteggiamento, il fidanzamento, la gelosia, la lontananza, il tradimento.

A S. Domenica Vittoria, come altrove, i canzuni erano uno strumento per allacciare rapporti o per vendicarsi di affronti subiti, senza escludere la componente ludica e rituale presente nell'organizzazione delle serenate, durante le quali esse si cantavano in pubblico.

Spesso erano gli amici del fidanzato ad organizzare la serenata; sul tardi, dopo cena, si riunivano in quattro o cinque e per circa due ore rimanevano a cantare a cadenza dietro la porta della giovane. Due cantori fungevano da prima e da seconda voce, riprendendo a turno le strofe da cantare; gli altri quando la canzuna stava per finire cci ddavanu a schigghia a ccarenza, introducevano, cioè le ultime note su tonalità più alte e concludevano con vocalizzi che continuavano a lassata, l'intonazione delle prime due voci, che non avrebbero avuto il fiato per continuare a tenere a lungo la nota da soli. Si ricorreva spesso all'abilità di specialisti della cadenza e perciò l'effetto nel silenzio della notte doveva essere molto suggestivo.

Dopo alcuni canti, il fidanzato invitava gli amici che avevano tenuto la serenata ad entrare ed offriva loro vino e frutta secca ( scacciugghi). Se poi, per qualche diverbio , il fidanzamento andava a monte, era l'ex fidanzato ad organizzare una controserenata per indirizzare alla donna canzuni di sdegnu spesso piccanti e offensive.

Altre occasioni per l'esecuzione collettiva di questi canti erano, l'aratura, la mietitura, la raccolta delle nocciole, quando uomini e donne lavoravano insieme. I canzuni consentivano allusioni più libere e ardite di quanto fosse lecito in altre occasioni della vita di paese, servivano a stabilire nuovi legami o ad esprimere ripicche in modo libero e giocoso.

Era particolarmente suggestivo quando nel silenzio della notte i canti echeggiavano nelle vallate, allorché i lavoratori cantavano nelle masserie sparse nella campagna, improvvisando gare di canto: «Le parole arrivavano distinte da un punto all'altro, scavalcando i pianori, ed era bello», mi raccontava un anziano agricoltore. Certo, i canti a cadenza servivano anche a ritmare la fatica e ad alleviarne il peso, quindi i contenuti a volte riguardavano il mondo del lavoro, ma su tutti prevalevano i temi d'amore.

La memoria e la diffusione di questi testi, in parte composti in loco, in parte appresi altrove, anche quando diventarono rare le serenate ed entrò in crisi il lavoro nei campi, furono affidate al tradizionale “gioco dei pegni”, ancora praticato in alcune zone della Sicilia la vigilia della festa di S. Giovanni, mediante il quale le ragazze traggono dalle canzoni siciliane pronostici per il loro futuro.

I testi da me raccolti sono in ottave siciliane, composte, cioè, di versi endecasillabi con due rime alternate quattro volte. Alcuni non rispettano questo schema a causa di modifiche apportate nel corso degli anni anche dai fruitori, che talora fondono argomenti affini, tratti da testi diversi, per formare nuovi componimenti, o sono stati conservati mutili di alcuni versi. Pochissimi i testi in metri diversi: uno in settenari e uno in novenari.

Rare le coincidenze con canzuni presenti nelle raccolte già citate di G.Pitrè[1]e di L.Vigo [2] o con altre dell'area messinese [3], dove recentemente sono stati pubblicati i canti della valle dell'Agrò [4], e con notevoli varianti, non solo linguistiche, ma anche di contenuto, apportate da anonimi.

Canzuni d'amuri

Ci si può chiedere se queste canzoni siano tutte convenzionali, come si afferma spesso basandosi sul fatto che non si conosce l’autore e neanche il contesto preciso in cui sono nate e tenuto conto, d’altra parte, che alcune di esse erano composte su ordinazione, da improvvisatori di mestiere.

Certo, è ormai superato il mito romantico del popolo creatore, genuino e immediato; sappiamo bene che c’è sempre un individuo più o meno colto che costruisce i testi sulla base delle sue risorse personali, ma spesso attingendo ad altre esperienze collaudate dello stesso genere, o addirittura utilizzando i modelli colti, che si avvertono, più o meno convenzionali, nei testi dialettali. Sappiamo anche che sin dal ’500 a Palermo esistevano corporazioni di cantastorie ciechi che così si guadagnavano da vivere [5], tuttavia alcuni di questi testi sono così freschi, originali nel linguaggio e appassionati, da meritare una non distratta attenzione.

Non possiamo fare discendere il valore di un testo dalla sua fruizione (che avveniva in occasione di fidanzamenti, corteggiamenti, feste campagnole o giochi di gruppo); se c’è qualcosa di valido, si deve riscontrare nel testo stesso, a prescindere dal modo in cui è stato usato e trasmesso.

I canti di questa sezione si possono suddividere in sei tipologie:

  • canzoni di corteggiamento e di desiderio;

  • canzoni di lode della donna o dell’uomo amati (sono i due gruppi più folti);

  • lamenti sulla propria sfortuna e infelicità;

  • dichiarazioni di fedeltà;

  • canzoni di separazione;

  • canzoni di gelosia.

Sottolineiamo alcuni elementi che affiorano nei brani più originali in modo sorprendente a dare grazia e luce al testo. Su tutto prevale la contemplazione estatica dell’essere amato, talora con venature scopertamente letterarie, ma non prive di fantasiosa vitalità.

Piena di grazia omerica è, ad esempio, l’immagine della palma dai germogli vigorosi (quarina, failluna, che ricordano il cuore e le faville, termini pieni di luce), arricchita dal luccichio fiabesco dell’oro e dell’argento (n.7).

L’aquila e la ninfa, il lampadario, sono immagini convenzionali, presenti in vari testi dialettali di tutta la Sicilia, ma nel testo n.8, associate insieme, danno un senso di vertiginosa altezza alla lode della donna e ci fanno sospettare che il poeta, raffinato o ingenuo, abbia attinto a qualche insegna araldica con l’aquila ad ali spiegate e incoronata di gemme.

Altre immagini ardite sono quelle dell’orologio e della trottola (n.17): l’innamorato è diventato un orologio che scandisce i quarti e le ore, sempre fisso sul suo pensiero dominante, ma è anche diventato una trottola che ondeggia e si impiglia nel laccio o nodo scorsoio di questa ossessione e fa campana, ondeggia e si ferma, come accade quando il lanciatore è maldestro. In questo caso, però, la colpa è tutta della bellezza ammaliatrice, che smorza le energie vitali dell’innamorato.

Tra le canzoni di lode sono particolarmente aggraziate quelle di nascita, dove domina il mondo delle fiabe. Sottolineiamo, tra gli altri, alcuni epiteti riferiti alla bellezza della donna, tutta aurea e palesemente distante dal tipo bruno mediterraneo, in qualche modo vicina, sebbene in modo popolare, al modello petrarchesco:

Quannu nascisti tu, scumma di oru (Quando nascesti tu schiuma d’oro);

quannu sparmi si capilli d’oru...( quando sciogli quei capelli d’oro) (n.36)

Capilli biondi e ricci martillati ( Capelli biondi e ricci lavorati al cesello) (n.41)

Un balenare di occhi colmi di desiderio si coglie nel n. 45:

Ucchiuzzi di cardillu, chi tariàti?

E l’innamorato dagli occhi intenti e brillanti come quelli di un cardellino, interpellato dalla madre della giovane, che ne ha colto l’inquieto passeggiare, rimane perennemente vivo.

Altrove, ulteriore esempio di linguaggio vivo e appassionato, leggiamo:

Stilla lucenti chi porti sbrannuri

all’ommu quannu sta ‘n marincunìa,

cci rrubbasti li raggi a lu suri,

lu suri nni pigghiau spera ri tia...( n.61)

(Stella lucente che porti splendore

all’uomo quando sta in malinconia,

tu gli hai rubato i raggi al sole,

il sole ha preso da te la sua raggiera).

La malinconia dell’uomo illuminata dalla luce della donna è di ascendenza romantica, mentre il gioco delle metafore e delle similitudini tra il sole e la donna-stella non ha niente da invidiare alla più sofisticata poesia barocca.

Altri elementi di un certo pregio si trovano sparsi nei testi qui pubblicati: il lettore attento saprà individuarli e gustarli in piena libertà.

[1]

O Ddia chi- ffussi ja mastru ri ngegnu

quantu japrissi li porti ammucciuni,

 e la cchianassi la scara affuiennu,

jssi nfina a lu lettu a-ddinucchiuni,

la rruvigghiassi la bella durmennu,

la rruvigghiassi llu hhiatu d'amuri,

e ppoi cci stassi tri-nnotti ri nvernu

cu tri jurnati longhi di stasciuni.

O Dio, se fossi io mastro d'ingegno

così da aprire le porte di nascosto,

poi salirei la scala di gran corsa,

andrei fino al suo letto a ginocchioni,

la sveglierei la bella, dormiente,

la sveglierei quel fiato d'amore,

e poi starei lì tre notti d'inverno

con tre giornate lunghe d’estate.

 

 

 

[2]

Mi l'hai mannatu un mazzettu di Franza,

bbella, lu nostru amuri ora ccumenza,

l'arburu crisci, l'amuri s'avanza,

bella, p'amari a ttia non c'è-pputenza;

ora mittimmu l'oru ntâ bbaranza,

di l'unu e-ll'autru non cc'è diffirenza,

 pirchì, figghiòra, tutta sta tardanza?

Non vogghiu fari cchiù sta pinitenza.

Me l'hai mandato un mazzetto di spigo,

bella, il nostro amore ora comincia,

l'albero cresce, l'amore s'avanza,

bella, di amare te non c'è potenza;

ora mettiamo l'oro nella bilancia,

tra l'uno e l'altra non c'è differenza,

Perchè, figliola tutta questa attesa?

Non voglio fare più questa penitenza.

 

 

 

[3]

Lu ceru mi l'ha ddittu chi- ssì bbella,

 la terra chi ti teni pi grannizza,

 sì lluminata pi- cceru e pi- tterra,

 ri Napuri passau la ta bbillizza,

 li principi e li rre ttaccànu guerra,

 ttaccànu guerra pi ssa bbiunna trizza;

 sì bbella di lu ceru nfina nterra,

fammi patruni di la ta bbillizza.

Il cielo me l'ha detto che sei bella,

la terra che ti tiene per grandezza,

sei nominata per cielo e per terra,

da Napoli passò la tua bellezza,

i principi ed i re fecero guerra,

fecero guerra per la tua bionda treccia;

tu sei bella dal cielo fino a terra,

fammi padrone della tua bellezza.

 

 

 

[4]

Puru li serpi pìgghianu riposu,

ma ja, l'amaru, non riposu mai,

tutta la notti mi-ggiru e- mmi votu,

e li linzora mi spijanu: «Chi hai?

Rriposa, rriposa, ggiuvinettu,

l'amanti chi-ppritenni tu l'avrai,

e alla figghiora chi- pporti rispettu,

un gnornu patrunella tu l'avrai.»

Pure le serpi prendono riposo,

ma io, meschino, non riposo mai,

tutta la notte mi giro e mi volto,

e le lenzuola mi chiedono: «Che hai?

Riposa, riposa, giovanetto,

l'amante che pretendi tu l'avrai,

e la figliola cui porti rispetto

un giorno padroncina tu l'avrai.»

 

 

 

[5]

La primma vota chi jsti a la missa

lu pòpuru di tia si nnamurau,

quannu pigghiasti l'acqua bbirinitta

lu tettu di la cresia trimau,

lu parrinellu chi- ddicia missa

sintennu llu tirruri si vutau:

«Figghia, cu ti li-ddesi si bbillizzi?»

«Mi li ddesi lu Ddia chi- mmi criàu.»

La prima volta che andasti alla messa

il popolo di te s'innamorò,

quando prendesti l'acqua benedetta

il tetto della chiesa tremò,

pure il pretino che diceva messa

sentendo quel terrore si voltò:

«Figlia, chi ti donò queste bellezze?»

« Me le ha date Dio, che mi creò.»

 

 

 

[6]

Vegnu a- ccantari a stu locu firìci,

sona chitarra e ncordami la gguci,

chi cu la zzita mia simmu nnimici

forzi cu sti canzuni si rriddùci.

Ffacciati râ finestra, parra e ddici,

dammi rrisposta cu sa bbucca dduci,

mmaririttu lu sdegnu e-ccu lu fici,

unn'è la zzita mia?Facimmu paci.

Vengo a cantare in questo luogo felice,

suona chitarra e accordami la voce,

con la ragazza mia siamo nemici,

forse con questa canzone si convince.

Affacciati alla finestra, parla e dici,

rispondimi con la tua bocca dolce,

maledetto lo sdegno e chi lo fece,

dov'è la fidanzata mia? Facciamo pace.

 

 

 

[7]

Ammenzu u mari cc'è n'amata parma

d'oru e d'argentu li sa failluna.

"Cc'è un picciuttellu vistutu ri gara,

d'oru mi ddumannau la cintura,

ja l'aiu fatta d'oru rraccamata

e nta lu menzu na bbella scrittura.

Non la leggi, no, mancu lu papa,

suru, figghiuzzu, tu, la ta pirzuna”.

In mezzo al mare c'è un'amata palma,

d'oro e d'argento (sono) i suoi polloni.

"C'è un giovanetto vestito di gala,

d'oro m'ha domandato la cintura,

io gliel'ho fatta d'oro ricamata,

e in mezzo (ho messo) una bella scrittura.

Non la leggerà, no, neanche il papa,

solo, figliolo, tu, la tua persona”.

 

 

 

[8]

L'àcura fici un voru e -ppoi si tinni,

 pi si nni jri a li ceri superni,

quantu su' mmaistrati li ta pinni

quannu luntanu sì e l'ari stenni.

Nta na ninfa cunzegni li ta pinni

pi ncurunari a-ttia d'argentu e perni.

Ora chi ssi rruvata tornatìnni,

àcura china ri bbillizzi aterni.

L'aquila fece un volo e poi sostò,

per arrivare ai cieli superni,

quanto sono addestrate le tue penne

quando lontana sei e le ali estendi.

In mezzo agli astri inserisci le tue penne

per coronarti d'argento e di perle.

Ora che sei arrivata torna a noi,

aquila colma di bellezze eterne.

 

 

 

[9]

Cuntu li stilli 'n ceru e -mmi llammìcu,

pi vvui, figghiuzza, mi llammicu cchiui,

commu l'azzaru mi stoccu e mi chicu

pi la tardanza chi mi- ddati vvui;

non mi nni vaiu si non vi lu -ddicu,

la bella ch'aiu a amari siti vvui.

Conto le stelle in cielo e mi sfinisco,

di più, f igliola, per voi mi torturo,

come l'acciaio mi spezzo e mi piego,

per il ritardo che mi fate voi;

non me ne vado se non ve lo dico,

la bella che ho da amare siete voi.

 

 

 

[10]

Supra un muntittu d'oru mi firmai,

la bucca parra e lu senzu aiu a vvui,

cci sunu ggenti chi- pparranu assai,

tutti mi- ddinu di lassari a- vvui,

ma ja chissu non lu fazzu mai,

d'amari a nn'autru e di lassari a- vvui.

Su un monticello d'oro mi fermai,

la bocca parla e il pensiero va a voi,

ci sono alcuni che parlano assai,

tutti mi dicono di lasciare voi,

ma questo io non lo farò mai,

d'amare un'altra e di lasciare voi.

 

 

 

[11]

Ammenzu u mari cc'è na vara ranni,

un arburu d'amuri e quattru ntinni,

cc’è na picciotta ri diciassett’anni,

si rrubbàu lu ceru e-ssi lu tinni.

Ora, figghiuzza, ti criscinu l’anni,

fatti la truscitèlla e jimmunìnni.

In mezzo al mare c'è una vara grande,

un albero d'amore e quattro antenne,

c’è una ragazza di diciassett’anni,

s’è rubato il cielo e se lo tenne.

Ora, figliola, ti crescono gli anni,

prepara il fagottino e ce ne andiamo.

 

 

 

[12]

Amuri, amuri, mannami un sarutu,

chi-ssugnu nta Palermu carzaratu,

e- ssugnu commu un arburu carutu

r'amici e ri parenti bbannunatu

Ora chi -ssugnu ccà dunami aiutu,

veni e scatinami tu, hhiatuzzu amatu.

Amore, amore, mandami un saluto,

perchè sono in Palermo carcerato

e sono come un albero caduto

da amici e da parenti abbandonato.

Ora che sono qua, dammi aiuto,

vieni e scatenami tu, respiro amato.

 

 

 

[13]

Sugnu rrisortu di nèsciri pazzu

di quantu passioni portu a- ttia,

commu non m'ami tu ja non lu sacciu,

commu non mori quannu penzi a-mmia.

S' avevi pena sintevi ddururi,

nn'avevi pietà nta lu ta cori.

Quannu nta li strati nni ncuntrammu

la facci janca e rrussa nni facimmu,

la janca siti vvui, chi-ttantu v'amu,

lu rrussu sugnu ja, l'amuri estremu.

Sono deciso a diventare pazzo

per quanta passione porto a te,

come non mi ami tu io non lo so,

come non muori quando pensi a me.

Se avevi pena sentivi dolore

ed avevi pietà dentro il tuo cuore.

Quando per le strade ci incontriamo

in faccia bianchi e rossi diventiamo,

la bianca siete voi, che tanto v'amo,

il rosso sono io, l'amore estremo.

 

 

 

[14]

Ja mi nni vàjiu chi mi nn'àjia jri,

 cu-ddururi nto cori, chianti e-ppeni;

ora non cianciu chi mi nn'aia jri

cianciu chi- llassu a -ttia, occhi sireni;

veni lu puntu chi nn'amm’â spartìri

rricorditi di mia, si- mmi voi bbeni.

Io me ne vado e me ne devo andare,

con dolore nel cuore, pianto e pene;

ora non piango perchè devo andare,

piango che lascio te, occhi sereni:

ecco il momento che devo partire,

ricordati di me, se mi vuoi bene.

 

 

 

[15]

Ggiuvina bbella chi-mmi fai murìri,

non ti fari, no, no, disiddirari,

non t'àju vistu e lu cori mi temi,

penza si nn'avissimu a-pparrari.

...

sellu ja sacciu chi-ttu canci amuri,

morti cu li ma mani t'àja a-ddari.

Giovane bella che mi fai morire,

non ti fare no no desiderare,

io non t’ho visto ed il mio cuore trema,

pensa se ci dovessimo parlare.

...

Se vengo a sapere che tu cambi amore

morte con le mie mani devo darti.

 

 

 

[16]

Unn'è la bbella ch'àju amatu tantu?

La cercu, la tarìju e non la sentu,

se la virissi la stimassi tantu,

quantu si stimma l'oru cu- ll'argentu.

Dov’è la bella che io ho amato tanto?

La cerco, guardo intorno e non la sento,

se la vedessi la stimerei tanto

quanto si stima l’oro con l’argento.

 

 

 

[17]

Riròggiu ddivintai pi lu ta amuri,

accussì vosi la furtuna mia,

rriroggiu chi-ccunta quarti e uri,

ccussì mi bbatti lu senzu pi-ttia,

Li cordi l'hai lassatu a scurrituri,

campana chi-ffirmau la menti mia,

se-ttu sapissi lu ma stremu amuri,

a-nnullu amassi si non suru a-mmia.

Orologio diventai per il tuo amore,

così ha voluto la fortuna mia,

orologio che conta quarti e ore,

così mi batte il pensiero per te.

La corda l’hai lasciata srotolata,

trottola che hai imbrogliato la mia mente,

se tu sapessi il mio estremo amore

nessuno ameresti se non me.

 

 

 

[18]

Lu ma cori e lu tua bbeni si vonnu,

si amanu firìri e-ssenza ngannu,

cci su' li ggenti chi-pparrari vonnu,

si ngànnanu l'arma e nenti fannu,

nta lu pettu ti tegnu unn'è chi-ssugnu,

nta li cittati unn'è chi-vvaiu e-vvegnu,

tènimi caru chi-ccara ti tegnu,

e-ppi ddispettu lu cori ti ddugnu.

Il mio cuore ed il tuo si vogliono bene,

si amano fedeli e senza inganno,

ci sono alcuni che vogliono parlare,

si rovinano l’anima e nulla fanno,

nel petto mio ti tengo ovunque vado,

nelle città dove vado e vengo,

tienimi caro che cara ti tengo,

e per dispetto il mio cuore ti dono.

 

 

 

[19]

Catina d'oru di cìinnici magghi,

ttaccasti lu ma cori e-mmai ti strogghi

l'arburu si canusci a li rramagghi,

massimamenti a lu fruttu chi-ccogghi;

tu sì-ppicciotta e nt’ôn biccheri squagghi,

ja sû-ppicciottu e lu cori mi bbugghi,

ma si pi-ssorti a li ma mani ngagghi,

tutti li ta bbillizzi li scummogghi.

Catena d’oro di quindici maglie

hai legato il mio cuore e mai ti sleghi,

l’albero si conosce dalle fronde,

e soprattutto dal frutto che cogli;

tu sei ragazza e in un bicchiere squagli,

io son ragazzo ed il mio cuore bolle,

ma se per caso tra le mie mani incappi,

tutte le tue bellezze me le scopri.

 

 

 

[20]

Ggiuvinu bbellu, mi llegri lu cori

quannu i sta strata ti viju passari;

sì lu cchiù-mmegghiu di tutti i figghiori,

sì ggrazziusellu nzina a lu parrari.

Áju saputu, ta mamma non vori,

mancu ma patri cchiù lu vori fari;

ora chi simmu ggiunti a sti parori

s'è gurintà di Ddia non pò-mmancari.

Giovane bello, mi rallegri il cuore

quando in questa strada ti vedo passare;

tu sei il più bello di tutti i figlioli

sei graziosetto perfino nel parlare.

Io l’ho saputo, tua mamma non vuole,

neanche mio padre più lo vuole fare;

ma ora che siamo già a queste parole

s’è volontà di Dio non può mancare.

 

 

 

[21]

Quannu li ta bbillizzi si scuprìnu,

picciotti e ranni si maravigghiànu,

trimau la terra e-ll'arburi hhiurìnu,

tutti li munti nchianu ddivintanu,

tutti nta mpuntu nta nfossu carìnu,

li porti di lu nfernu si sprimmànu,

li morti nzapurtura rrivinìnu,

li ta bbillizzi li risuscitànu.

Quando le tue bellezze si scoprirono

piccoli e grandi si meravigliarono

tremò la terra, gli alberi fiorirono,

tutti monti pianura diventarono,

tutti in un punto si inabissarono,

le porte dell’inferno si disserrarono,

i morti nella tomba si svegliarono,

le tue bellezze li risuscitarono.

 

 

 

[22]

Fazzu la vita commu lu marvizzu,

ogni scrusciu chi-ssentu ja sburazzu,

li pinni mi li ccampu cu lu pizzu,

unni l'amuri cc'è l'anìru fazzu.

La smerra si lu fa nta li rruvetta,

cummatti cu li spini e puncigghiuna,

la quagghia si lu fa nta n chianu nettu,

cummatti cu li vìpara e scurzuna,

la rìnnina si lu fa nta lu tettu,

cummatti cu lu ventu e la furtuna.

Ja mi lu fazzu

nta lu pittuzzu di la ma patruna.

Faccio la vita come la fa il tordo

ogni fruscio che sento io svolazzo,

le piume le raccolgo con il becco,

dove l’amore c’è il nido faccio.

Il merlo se lo fa dentro i roveti,

lottando contro spine e pungiglioni,

la quaglia se lo fa in un luogo aperto,

lotta contro vipere e serpenti,

la rondinella lo fa sotto il tetto,

lottando contro il vento e la fortuna.

Io me lo faccio

nel dolce petto della mia padrona.

 

 

 

[23]

Garofanu, di Marta sì-vvinutu,

 nta la grastuzza mia fusti chiantatu;

mancu di la pacenzia c'àju avutu,

sira e-mmatina t'àju mbiviratu;

ora chi sì garofanu vinutu

ti scippu e-tti va-mmettu a lu ma latu.

Garofano, da Malta sei venuto,

dentro il vasetto mio fosti piantato;

sapessi la pazienza che ho avuto,

sera e mattina io ti ho annaffiato;

ora che sei garofano sbocciato

ti raccolgo e ti vado a mettere al mio lato.

 

 

 

[24]

Ntô libbru novu siti scritta vvui,

ntô libbru novu non si leggi mai,

tuttu lu ggeniu mia cci l'àju a-vvui,

bbirinittu lu jornu chi-vv'amai.

Se-mmi lassati, mi lassati vvui:

vuriti sapiri quannu lassu a-vvui?

Quannu munnu non cc'èvi e-vvita, mai!

Nel libro nuovo siete scritta voi,

nel libro nuovo non si legge mai,

tutta la mia passione è per voi,

sia benedetto il giorno che vi amai.

Se mi lasciate, mi lasciate voi:

sapete quando io lascerò voi?

Quando non ci sarà mondo e vita, mai!

 

 

 

[25]

Hhiatittu, anima mia, fatti rrumita,

se ti fai santa li bbillizzi l'hai,

ja, lu ma cori, ti vurìa pi zzita,

sapennu chi lu ggèniu tu cci l'hai.

Áju saputu quantu sì-ppurita,

ch'a la finestra non ti ffacci mai,

quannu ti ffacci mi-dduni la vita,

sugnu maratu e-gguarìri mi fai.

Piccolo fiato mio, fatti eremita,

per farti santa le bellezze le hai,

io, nel mio cuore, ti vorrei per fidanzata,

sapendo che la voglia tu ce l’hai.

Ho saputo quanto sei educata,

che alla finestra non ti metti mai,

quando ti affacci mi doni la vita:

sono malato e guarire mi fai.

 

 

 

[26]

Nta sta strata cc'è na virdi rrosa:

nullu mi la pritenni ch'è la mia,

si cc'è quarcunu chi si senti cosa

nesci cca ffora e cuntrasta cu mmia.

Unn'avi i peri la testa cci posu,

e manciu e mbivu nta na vicaria.

In questa strada c’è una verde rosa:

nessuno la desideri, ch’è mia,

se c’è qualcuno che si sente cosa,

esca qua fuori e contrasti con me,

dove ha i piedi la testa gli metto,

e mangio e dormo in una vicaria.

 

 

 

[27]

Visti l'amuri mia supra na parma,

un panarellu i ddàtturi cugghìa,

e ja llassùtta chi-mmi niscia l'arma,

«Jttamminni ddui, anima mia!»

Illa mi ddissi: «No, chi cc'è-mma mamma,

nunca mi ddici chi ja vogghiu a-ttia,

veni ddumani chi non cc'è ma mamma,

chi ti li ddugnu tutti, anima mia.»

Vidi l’amore mio sopra una palma,

un cestino di datteri coglieva,

ed io di sotto che mi usciva l’anima

«Gettamene due, anima mia!»

Ella mi disse: « No, che c’è mia mamma,

se no mi dice che io voglio te,

vieni domani, che non c’è mia mamma,

e te li darò tutti, anima mia.»

 

 

 

[28]

Amuri, amuri, chi-mm'ha -ffattu fari!

Fari m'ha -ffattu na ranni pazzia,

lu Patrinostru m'ha -ffattu scurdari,

la menza parti di l'Avi Maria,

vaju a la cresi e mi scordu la via,

di novu mi vurissi battizzari,

turcu ddivintai p'amari a-ttia.

Amore, amore, che mi hai fatto fare!

Mi hai fatto fare una grande pazzia,

il Padre nostro mi hai fatto scordare,

e mezza parte dell’Ave Maria,

vado alla chiesa e mi scordo la via,

un’altra volta vorrei battezzarmi,

turco son diventato amando te.

 

 

 

[29]

Visti spuntari un cavareri bbellu,

e bbellu commu a illu non cc'è nullu;

porta a-ffantasia lu sa cappellu,

li capilluzzi commu vori illu,

e-ccu nni spija lu sa nnommu bbellu,

Pippinuzzu si chiamma, miat’a illu.

Vidi spuntare un cavaliere bello

e bello come lui non ce n’è alcuno,

porta con fantasia il suo cappello

ed i capelli come pare a lui,

chi vuol sapere il suo nome bello,

Peppinuzzo si chiama, beato lui!

 

 

 

[30]

Partu c'un dubbiu e non tornu siguru,

 nta cuncertu e cuncertu rrivu e-ppenzu,

penzu, rripenzu, mi rrisorvu e-ppenzu,

nta n'ura conzu e gguastu muru e smuru

e-ssugnu tannarreri unni ccumenzu.

Parto dubbioso e non torno sicuro,

tra progetto e progetto arrivo e penso,

penso, ripenso, mi decido e penso,

in un’ora aggiusto e guasto, muro e smuro

e sono ancora al punto di partenza.

 

 

 

[31]

Quannu nascivi ja lu sbinturatu,

nascivi ntô vacanti di la luna,

stesi sett'anni lu suri mmucciatu,

n'autri sett'anni a non spuntari a luna.

Setti sunu li donni ch'àju amatu,

e cci àju avutu la mara furtuna,

cci nn'era una ch'era lu ma hhiatu

e-ssempri cci appi la mara furtuna.

Quando sono nato io, lo sventurato,

son nato nel mancante della luna,

restò sette anni il sole coperto,

altri sette anni non spuntò la luna.

Sette sono le donne che ho amato,

e ho avuto cattiva fortuna,

ce n’era una che era il mio fiato

e sempre ho avuto cattiva fortuna.

 

 

 

[32]

«Sugnu rrisortu chi mi nn'àja jri,

cu na barcuzza lu mari hâ passari.»

Rrivai ammenzu u mari e-mmi pintivi:

«Marinarellu, vogghiu rriturnari,

àju lassatu n'amanti gintìri,

mi scantu mi si veni a-mmaritari.

Mi si marita all'urtima di maju,

mi ncattivisci a la primma di giugnu.»

«Ho deciso che me ne devo andare

con una piccola barca varco il mare.»

Ma in mezzo al mare me ne son pentito:

«Marinarello, voglio ritornare,

perchè ho lasciato un’amante gentile

e temo che si possa maritare.

Possa sposarsi l’ultimo di maggio,

restare vedova il primo di giugno.»

 

 

 

[33]

Sia bbirinittu cu fici lu munnu

e-ccu lu fici lu sappi ben fari,

fici lu ceru commu un circu tunnu,

fici la luna a-ccrisciri e a-mmancari,

fici lu suri pi-ffari sbrannùri,

fici la terra e-ffici lu mari,

fici li bbelli pi-ttuttu lu munnu,

cchiù bbelli di Maria non potti fari.

Sia benedetto chi ha fatto il mondo

e chi lo ha fatto lo ha saputo ben fare,

ha fatto il cielo come un cerchio tondo,

ha fatto la luna a crescere e a mancare,

ha fatto il sole per fare splendore,

ha fatto la terra e ha fatto il mare,

ha fatto le belle su tutta la terra,

più belle di Maria non potè farne.

 

 

 

[34]

Quannu nascisti tu, bbella munita,

nta lu munnu cci fu na lluminata,

fusti nfasciata nta-ppanni di sita

nta un bacirellu d'oru bbattizzata;

cci hai ssi occhi di na caramita

e ssa bbuccuzza di na vera fata;

miata all'omu chi-tt'avi pi zzita,

chi-pporta lu tisoru ntâ sa casa.

Quando nascesti tu, bella moneta,

nel mondo ci fu una grande luminaria,

fosti fasciata tra stoffe di seta,

in un bacile d’oro battezzata;

hai quegli occhi da vera calamita

e la boccuccia di una vera fata;

beato l’uomo che ti ha per fidanzata,

che porta il tesoro dentro la sua casa.

 

 

 

[35]

Quannu nascisti tu, bbella del conti,

lu suri si ffacciò sì miritanti,

fusti battiatella a milli fonti,

la mamminella tua fu di Livanti,

lu patruzzellu tua bbaruni e conti,

la matruzzella figghia di rrignanti.

Ora chi-pparri cu sa bbucca pronti,

sona lu ceru e bbàllanu li santi.

Quando sei nata tu, bella del conte,

il sole si affacciò così splendente,

poi fosti battezzata a mille fonti,

la levatrice venne dal Levante,

il tuo padrino fu barone e conte

e la madrina figlia di regnante.

Ora che parli con quella bocca pronta

il cielo suona e vi ballano i santi.

 

 

 

[36]

Quannu nascisti tu, scumma di oru

l'anciuri di lu ceru si lligrànu,

tu sura cci pò stari ammenzu l'oru,

mmenzu a li stilli chi n ceru ngastànu,

e quannu sparmi si capilli d'oru

la notti fa-pparìri jornu chiaru.

Quando sei nata tu, schiuma di oro

gli angeli hanno festeggiato in cielo,

soltanto tu puoi stare in mezzo all’oro

e tra le stelle incastonate in cielo,

e quando spandi quei capelli d’oro

la notte fai sembrare giorno chiaro.

 

 

 

[37]

Quannu nascisti tu, stilla lucenti,

n ceru carànu tri anciuri santi,

si partìnu tri rre di l'orienti

dannu la nova a-ppunenti e a-llivanti;

bbella, li ta bbillizzi sù-pputenti,

àvi nov’anni chi-ssugnu ta amanti.

Quando sei nata tu, stella lucente,

in cielo apparvero tre angeli santi,

partirono tre re dall’oriente

dando notizia a ponente e a levante;

bella le tue bellezze son potenti,

è da nove anni che sono tuo amante.

 

 

 

[38]

Sì rrosa rrussa, cururìta e bbella,

fusti chiantata a-pparti di marina,

lu mari ti manteni frisca e bbella,

commu la rosa chi sboccia a matina;

se lu sapi lu rre quantu sì bbella

na curuna ti manna di rriggina,

ti fa-ppatruna di quattru castella,

Napuri, Rroma, Palermu e Missina.

Sei rosa rossa colorita e bella,

fosti piantata in zone di marina,

il mare ti mantiene fresca e bella

come rosa che sboccia la mattina;

se lo sapesse il re quanto sei bella

ti incoronerebbe da regina,

ti doterebbe di quattro castelli,

Napoli, Roma, Palermo e Messina.

 

 

 

[39]

Ajeri cci passai ri nta lli cosi,

llà cc'era pagghiarelli commu casi,

e si ffacciànu ddui commu ddu rrosi,

c'un panarellu di pumma e-ccirasi,

ma ja cci ddissi: «Non vogghiu sti cosi,

vogghiu la zzita, la robba e li casi.»

Ieri sono passato da quei posti,

e ho visto capannucce come case,

stanno affacciate due, come due rose,

con un cestino di mele e ciliege,

ma io dissi: «Non voglio queste cose,

voglio la fidanzata, roba e case.»

 

 

 

[40]

Quantu sbinturati cc'evi nta lu munnu,

unu di chilli mi pozzu chiamari,

jettu la pagghia a-mmari e-vva a lu funnu

autri viju lu chiummu cchianari,

àutri fa-lligazzi di sammucu

e ja di juncu non li pozzu fari,

autru spremi petri e nesci sucu

pi-mmia ssiccànu tutti li funtani.

Quanti infelici ci sono nel mondo,

uno di loro mi posso chiamare,

getto la paglia in mare e va nel fondo,

ad altri vedo il piombo risalire,

altri fanno ritorte di sambuco

e io di giunco non le posso fare,

altri spremono pietre ed esce sugo,

per me seccarono tutte le fontane.

 

 

 

[41]

Capilli bbiondi e rricci martillati

supra ssu jancu fronti li tiniti,

a la sira quannu vi curcati,

la luna faci gguardia mi durmiti,

a la matina quannu vi susiti,

li raggi di lu suri trattiniti,

quannu a la spalla di lu zzitu siti,

illu è lu suri e-vvui la luna siti.

Capelli biondi e ricci cesellati

sopra la bianca fronte voi tenete,

la sera quando a letto vi mettete,

la luna vi fa guardia, che dormiate,

alla mattina, quando vi svegliate,

i raggi del sole trattenete,

quando vicino al fidanzato state,

lui è il sole e voi la luna siete.

 

 

 

[42]

O bbella, bbella chi ti chiammi Anna,

cu ti lu misi stu nnommu d'amuri?

ti ncontra un picciuttellu e-tti ddumanna:

«Unni l'hai cotu tu sti bbelli hhiuri?»

«L'aiu cugghiutu ntô pettu di Anna

di unni spunta la luna e lu suri.

Si la luna e lu suri si pirdissi,

nta lu pettu di Anna si truvassi.»

O bella, bella che ti chiami Anna,

chi te lo ha messo il tuo nome d’amore?

Ti incontra un giovanetto e ti domanda:

«Dove li hai colto tu questi bei fiori?»

«Li ho raccolti nel petto di Anna,

da dove sorge la luna ed il sole.

Se la luna ed il sole si perdessero

li troveresti nel petto di Anna.»

 

 

 

[43]

E nta sta strata vogghiu bbeni a una,

pi-nnommu non la pozzu muntigari,

la casa sacciu e non cci pozzu jri,

la scara è longa e non pozzu cchianari.

Pàrtiti, senzu mia, se cci voi jri,

cci ha ddiri chi la mannu a sarutari,

mi non si pigghia, no, dispiaciri,

s'è ggurintà di Ddia, non pò-mmancari.

In questa strada voglio bene a una,

per nome non la posso ricordare,

la casa so ma non ci posso andare,

la scala è lunga e non posso salire.

Parti tu, mio pensiero, se vuoi andare,

devi dirle che la mando a salutare,

che non si prenda, no, dispiacere,

se è volontà di Dio, non può mancare.

 

 

 

[44]

Garofanu piagenti, ddurci amuri,

mannami a-ddiri commu t'àja amari,

mi lu rrubbasti lu cori ammucciuni,

e ora vinni si-mmi lu voi ddari,

lu tua non l'ha pututu rrimullari,

e nn'àju rrimullatu cori dduri!

Ja mi nni vaju e-tti sarùtu, amuri,

bbella, lu cori mia non ti scurdari.

Garofano piacente, dolce amore,

mandami a dire come ti devo amare,

tu di nascosto mi hai rubato il cuore,

ed ora vengo se me lo vuoi dare,

il tuo non l’ho potuto ammorbidire,

e ne ho ammorbidito cuori duri!

Ora io vado e ti saluto, amore,

bella, il cuore mio non ti scordare.

 

 

 

[45]

«Ucchiuzzi di cardillu, chi tariati?»

«Vàju tariannu ssa figghia ch'aviti,

vogghiu sapiri si la maritati,

se nnunca schitturilla vâ tiniti.»

...

...

«Non c'è bbisognu di fari firiti;

sellu è nata pi-vvui vi la pigghiati.»

«Occhi di cardellino, che guardate?»

“Vado guardando la figlia che avete,

voglio sapere se la maritate,

altrimenti zitella la terrete.»

...

...

“Non c’è bisogno di fare ferite;

che se è nata per voi ve la prendete.»

 

 

 

[46]

Únnici rregni di Capumaggiuri,

ddùrici amanti di tanta bbillizza,

trìrici cori, quattordici amuri,

chìnnici sunu li vostri billizzi,

sìrici rraggi, diciassetti luni,

cu diciarottu ceri a tant'artizza,

cu diciannovi rraggi e-vvinti suri,

suspirari non pò la ta bbillizza.

Undici regni di Capomaggiore,

dodici amanti di tanta bellezza,

tredici cuori, quattordici amori,

quindici sono le vostre bellezze,

sedici raggi, diciassette lune,

con diciotto cieli a tanta altezza,

con diciannove raggi e venti soli,

sospirare non può la tua bellezza.

 

 

 

[47]

Sta picciuttella ri quantu è purita

nta li manuzzi sua teni pumata,

nta lu pittuzzu sua na nnocca i sita:

mannari cci la vogghiu la mbasciata,

chi schettu sugnu e la vogghiu pi zzita.

Na picciuttella quann'evi anurata

cu rrobba e-ssenza rrobba si marìta.

Questa fanciulla così laboriosa

nelle sue piccole mani tiene unguento,

e sul suo petto un fiocco di seta:

a lei voglio mandare l’ambasciata,

libero sono e la voglio fidanzata.

Una fanciulla quand’è costumata

con dote e senza dote si marita.

 

 

 

[48]

Ggiuvina bbella cu lu cori arditu,

n'avìri prescia i lu ta maritari,

ja ti prummettu chi-ssugnu u ta zzitu,

n'àutru pocu i tempu m'ha spittari.

E di Natari nfina a-Ssantu Vitu,

quantu vâ-ffazzu li bbelli dinari,

e- ppoi vegnu a-tta mamma e cci lu ddicu,

cu-ssordi e-ssenza sordi nn'amma amari.

Giovane bella e con il cuore ardito

non avere tanta fretta di sposare,

io mi prometto a te per fidanzato,

ma un po’ di tempo mi devi aspettare.

E da Natale fino a Santo Vito,

per poter guadagnare i bei denari,

poi vengo da tua madre e glielo dico,

con soldi e senza ci dobbiamo amare.

 

 

 

[49]

Un jornu di Palermu mi partivi,

la strata di Missina ja pigghiai,

lu suri mi spuntau alli uri sei,

bbella, d'amari a-ttia mi rrigurdài,

fici na littra cu li mani mei,

cu rriguardu d'amuri la rriguardai,

di sutta scrittu cci misi pi-llei:

«Rricordati di mia, quantu t'amai.»

Un giorno da Palermo mi partii,

la strada di Messina poi pigliai,

il sole mi spuntò ch’eran le sei,

bella, l’amore tuo mi ricordai,

scrissi una lettera con le mani mie,

e con occhi d’amore la guardai,

sotto vi scrissi (pensando sempre) a te

«Ricordati di me, quanto ti amai.»

 

 

 

[50]

Sì rrosa rrussa, ri milli cururi,

e-ddammi chillu chi mi ddivi ddari,

mi prummittisti un jancu muccaturi,

ddammillu chi l'hâ-ffari rraccamari,

e nta li cimmi cci stampu l'amuri,

e nta lu menzu cci stampu lu cori,

nni l'amma-ddari quannu simmu suri,

nunca li ggenti si penzanu mari.

Sei rosa rossa di mille colori,

su, dammi quello che mi devi dare,

tu mi hai promesso un fazzoletto bianco

dammelo, che devo farlo ricamare,

nelle punte vi stampo l’amore,

e nel mezzo vi ricamo il cuore

diamocelo quando siamo soli,

altrimenti la gente pensa male.

 

 

 

[51]

Rritorna, anima mia, se-mmi voi bbeni,

lassàrimi accussì non è raggiuni,

apprimma mi vurèvi tantu bbeni,

e ora pi na parora mi bbannuni?

Doppu chiu t’àjiu fattu tantu bbeni,

ti li scurdasti li bbaci d’amuri?

Pènzacci, bella a li senzi sireni,

se mancanza t’hâ-ffattu, mi pirduni.

Ritorna, anima mia, se mi vuoi bene,

di lasciarmi così non c’è ragione,

dapprima mi volevi tanto bene.

e ora per una parola mi abbandoni?

Dopo che ti ho fatto tanto bene,

ti sei scordata i baci d’amore?

Pensaci, bella con mente serena,

se qualche offesa t’ho fatto, mi perdoni.

 

 

 

[52]

Ajèri cci passai unn’ a ma bbella

nta la càmmara sua cc’era na stilla;

illa mi parzi grazziusa e bbella,

e ja cci parzi grazziusellu a illa.

...

Quantu peni si pati pi na bbella!

Vàju ggirannu lu munnu pi illa.

Ieri passai davanti alla mia bella,

dentro la stanza sua c’era una stella;

ella mi parve graziosa e bella,

ed io sembrai graziosetto a lei.

...

Quante pene si sentono per una bella!

Vado girando il mondo per lei.

 

 

 

[53]

Ja mi nni vàju e-tti sarùtu, cara,

rrigòrdati di mia ura pi ura,

accussì vosi la spartenza amara,

cu sa la primma sira unni mi scura.

Sellu chi la morti non mi spara,

ritornirò cu-ttia, stanni sigura.

Io me ne vado e ti saluto, cara,

ricordati di me ora per ora,

così ha voluto il distacco amaro,

dove mi annotterà la prima sera?

Ma se la morte non mi spara,

ritornerò con te, stanne sicura.

 

 

 

[54]

Nta stu quarteri cci bbatti lu mari;

cc’è un picciuttellu chi bbeni ti vori,

c’un fazzurettu rrussu fa-ssignari,

cu nn’autru jancu fa-ll’amuri

...

e cu sa, forzi di mia ti lluntani,

pènzacci chi-ffu ja lu primmu amuri.

In questo quartiere batte il mare;

c’è un giovanetto che bene ti vuole,

con un fazzoletto rosso fa segnali,

con un altro bianco fa l’amore.

...

e se, per caso, da me ti allontani,

ricorda che fui io il primo amore.

 

 

 

[55]

Partit,i littra mia, cu ggran violenza,

vai unni cc’è la mia cara spiranza,

viri chillu chi-ffa e chillu chi-ppenza,

chi cci nni pari di sta luntananza.

….

E quannu lu ma cori a illu penza,

ura pi ura la pena s’avanza.

Parti, lettera mia, con gran violenza,

vattene dalla mia cara speranza,

vedi quello che fa e quello che pensa,

che gliene pare di questa lontananza.

….

E quando il mio cuore a lui pensa,

ora per ora la pena s’avanza.

 

 

 

[56]

Arzìra nta Palermu mi truvai,

c’èra la m’amanti chi-ddurmia,

era curcata nt’un lettu di Spagna

e pi-ccapizzu li manuzzi avia.

Non la chiamat, no, forzi si spagna,

lassatimi chiamari un pocu a- mmia.

Fazzu u parrari di la sa matruzza:

«Rruvìgghiati,rruvìgghiati, hhiatu mia.»

Ieri sera a Palermo mi trovai,

c’era la mia amante che dormiva,

era distesa in un letto di Spagna

e per cuscino le manucce aveva.

Non la chiamate, che non si spaventi,

lasciatela chiamare un poco a me.

Farò la voce della madre sua:

«Risvegliati, risvegliati, fiato mio.»

 

 

 

[57]

Stilla lucenti chi porti sbrannuri

a- ll’ommu quannu sta n marincunìa,

cci rrubbasti li rraggi a lu suri,

lu suri nni pigghiàu spera di tia.

...

Ora pi nnui la parora è ddata,

cu parra cci nni rresta a ggirusia.

Stella lucente che porti splendore

all’uomo quando sta in malinconia,

tu hai rubato i raggi al sole,

il sole ha preso da te la sua raggiera.

...

Ora per noi la parola è data,

a chi sparla resta (solo) la gelosia.

 

 

 

[58]

Petra prizziusa e rrisbrannenti,

chi ti pittànu l’ànciuri e li santi,

quannu nascisti tu bbella nnuccenti

ti visitànu bbaruni e rrignanti;

se lu sapìa ja nta lli momenti

ti purtava l’anellu ri bbrillanti.

Ora chi mmi facisti simpatia,

arzati, bbella, e-ccamina cu mmia.

Pietra preziosa e risplendente,

fosti dipinta dagli angeli e dai santi,

quando nascesti tu, bella innocente,

ti visitarono baroni e regnanti;

Se l’avessi saputo in quei momenti,

ti portavo l’anello di brillanti.

Ora che mi hai fatto simpatia,

alzati, bella, e vieni via con me.

 

 

 

[59]

Ffàcciati a la finestra, sapurìta,

quantu ti viju sa facci lavata,

dicci a-tta patri mi ti marita,

mi non ti teni cchiù ncatinazzata.

Quannu ti ffacci tu a la finestra,

spampànanu li rrosi nta la grasta,

l’ànciuri n Pararisu fanu festa

lu suri cu la luna si cuntrasta.

Se-mmoru e-mmi nni vaju n Pararisu,

sellu non viju a-ttia, mancu cci trasu.

Affacciati alla finestra, saporita,

che io veda la tua faccia pulita,

dillo a tuo padre di darti marito,

di non tenerti più incatenata.

Quando ti affacci tu alla finestra

sbocciano le rose dentro il vaso,

gli angeli fanno festa in paradiso

il sole con la luna si contrasta.

Se muoio e me ne vado in Paradiso,

se non vedo te, neanche ci entro.


Note di traduzione

Nella traduzione dei versi  si è tenuto conto tanto del significato letterale, quanto del ritmo del testo. Nella maggior parte dei casi l’italiano è un calco del dialetto, ma si è intervenuti con qualche cambiamento là dove la forma dialettale non ha il corrispettivo significato nella lingua italiana o dove la traduzione letterale non consentirebbe di conservare l’intonazione musicale.


Note

[1] G. Pitrè, Canti popolari siciliani, Palermo, 1870-71.

[2] L. Vigo, Canti popolari siciliani, Catania, 1857.

[3] G. Cavarra, Cultura popolare liminese, Messina 1978; Bizzeffi, G. N. Saglimbeni, La lingua tra i denti, a cura di G. Cavarra,Verona, 1983. G. Cavarra, La cultura strozzata, Messina, 1985. G. Cavarra, Cultura popolare liminese, Messina, 1978.

[4] Canti popolari della Valle d’Agrò, pubblicati a cura del Comune di Savoca,1989.

[5] cfr. L. Vigo, Op. cit, Pag. 59.


Note alle trofe

[1] 1 mastru d’ingegnu: maestro artigiano, fabbro che conosce tutti i segreti delle serrature.

4 a- ddinucchiuni: in ginocchio, come segno di venerazione o come chi esegue un voto.

8 stasciuni: estate, la stagione per antonomasia nel dialetto di S.Dom.Vittoria.

Fantasticheria tipica della poesia d'amore straordinariamente vicina ai modelli della poesia provenzale. Attraverso l'adunaton dei versi finali, si vuole esprimere la forza del desiderio. La stessa finalità ha l'anafora la rruvigghiassi e la metafora con cui la donna è definita hhiatu d'amuri, sospiro d'amore. Il gerundio durmennu ha la funzione di participio presente, dormiente, mentre dorme.

[2] 1 mazzettu o spica di Franza, spiga di Francia: fiore profumato, simile alla lavanda.

4 non cc'è -pputenza : forma colloquiale, "è molto difficile", indica molti tentativi andati a vuoto.

5 mittimmu ...bbaranza: soppesiamo i rispettivi meriti.

Si allude ad un piccolo pegno d'amore, cui non è seguito, però, un reale impegno affettivo.

La metafora della bilancia vuole ristabilire la parità fra i due, messa a dura prova da un corteggiamento troppo lungo. Qui siamo lontani dallo schema dell'adorazione e della servitù amorosa accennato nel testo precedente; l'uomo vuole riaffermare la sua superiorità.

[3] 3 lluminata: nominata, famosa; pi- cceru e pi- tterra: iperbole, notare il raddoppiamento eufonico.

6 ttaccànu guerra: ripetizione tipica della poesia orale.

7 di lu ceru nfina nterra: altra iperbole, la cosa più bella che esista tra il cielo e la terra.

Costruito su una serie di iperboli che proiettano sullo sfondo del cosmo la bellezza della donna, il testo, però, di essa fa intravedere solo la bionda treccia. L'amata viene inserita anche nel contesto della storia dei grandi, che guerreggiano per lei. Ma alla fine l'atmosfera fiabesca si dissolve nella concretezza della richiesta d'amore: patruni sottolinea bene il rapporto reale tra uomo e donna.

[4] 2) amaru: infelice, espressione comune di autocommiserazione.

7)figghiora figliola, locuzione tipica del messinese, poco frequente a S.Dom. Vitt. nel linguaggio quotidiano; porti rispettu: il corteggiamento è qui contrassegnato da stima e devozione.

8) patrunella: l'espressione sembra alludere al gentile dispotismo della donna appena sposa, centro di attenzioni e desiderio, almeno all'inizio della vita matrimoniale.

Lamento sulle pene d'amore. La similitudine con le serpi e l'antitesi successiva sono dettate dall'analogia tra il movimento sinuoso dei rettili e quello dell'innamorato tormentato dal desiderio nel suo letto. Invenzione inattesa la personificazione delle lenzuola, che assumono una funzione profetico-consolatoria.

[5] 3 bbirinitta, metatesi tipica dell'area gallo-italica: benedetta.

La lode della donna è costruita su una serie di iperboli, come accade frequentemente in questo genere letterario. L'apparizione in chiesa è accompagnata da segni di adorazione e di sacro spavento, poichè la fanciulla per la sua bellezza costituisce un' epifania del divino per il prete devoto e pio. Il diminutivo parrinellu, infatti, manifesta rispetto per la venerabilità del sacerdote. La bellezza, segno dell'onnipotenza divina, si manifesta con prodigi.

[6] 1 firici: felice, per estensione, è tutto ciò che circonda la fanciulla corteggiata.

2 ncordami la guci:accordami la voce; la voce, come strumento musicale deve insieme al suono della chitarra riconquistare la donna offesa. La serenata deve ristabilire l'armonia tra i due: i primi quattro versi definiscono la situazione, gli altri quattro, attraverso il vezzeggiamento ( bucca dduci ) e la maledizione dello sdegno, invitano alla pacificazione.

Il testo è riportato con alcune varianti dal Vigo, che lo ha raccolto a Palermo:

Vinni a cantari a stu locu filici,

sona chitarra e dammi bona vuci,

ca di l’amanti mia ni su’ ‘nfilici,

forsi cu sta canzuni fazzu paci:

affaccia a la finestra, parra e dici

dui palureddi cu ssa vucca duci,

e vaia amanti mia, facemu paci,

malidittu lu sdegnu e cu lu fici.

Una variante quasi simile è stata registrata dallo stesso Vigo ad Acireale (op. cit. pagg. 288 e 289).

[7] 2 failluna: virgulti giovani.

Attraverso un gioco delicato di immagini si rappresenta la reciproca intesa e la promessa d'amore da parte della donna. La prima immagine, una palma in mezzo al mare con i germogli d'oro e d'argento, indica la bellezza della donna e si trova spesso usata nelle canzoni siciliane, di varia provenienza.

La seconda, quella della cintura ricamata, è sottilmente allusiva alla esclusività e intimità dei rapporti tra i due innamorati.

Si noti, inoltre l'eleganza del giovane pretendente: se la donna è bella come un virgulto giovane di palma (come non ricordare il VI libro dell'Odissea, dove Ulisse paragona Nausica ad un 'nuovo rampollo di mirabil palma' ), anche il giovane è bello ed elegante.

[8] 2 ninfa: grande lampadario a molte luci, qui le costellazioni.

La lode si articola tutta sotto il velo dell'allegoria: l'aquila è abbastanza frequente in questo genere letterario come simbolo dell'altezza e del pregio della donna amata. Qui si osserva una descrizione magistrale del volo dell'aquila, che si stacca da terra e poi sembra frenare il volo, prima di lanciarsi con le ali tese verso l'alto ( ceri superni, sede di Dio) per ricevere in un trionfo di luci un'incoronazione degna di un idolo. I versi finali riportano lo scenario sulla terra, dove l'aquila ridiscende invocata e tuttavia inattingibile.

[9] Una delle tante situazioni di malinconia, dovuta alla mancanza di risposta positiva al corteggiamento, genera un'immagine molto concreta: il senso di stanchezza e di languore di chi si applica ad un'attività inutile e improduttiva (mi llammìcu, mi stanco). E' l'impazienza dell'attesa sottolineata da un'altra immagine forte, quella dell'acciaio, che piegato si spezza ( mi chicu).

Nonostante l'attesa delusa, l'innamorato, però, persiste nel dichiarare il suo amore.

Il testo manca di due versi.

[10] Di fronte alle male lingue che le suggeriscono di lasciare il fidanzato, la donna, che anche quando parla d'altro ha il pensiero rivolto a lui, riafferma la sua scelta con un aggraziato gioco metaforico che sottolinea il valore dell'uomo amato: si è fermata sopra un monticello d'oro e non intende allontanarsene.

Anche questa ottava, come le seguenti, è incompleta.

[11] Forte contrasto tra i primi quattro versi e gli ultimi due.

In mezzo al mare, inaccessibile, una giovane diciassettenne, sopra un fercolo d'amore ( vara ranni) si tiene stretto il cielo che ha rubato: è la felicità che non concede all'innamorato?

Brusco il finale, cosa che fa presupporre un cambiamento di tono già nei due versi perduti: nel mondo contadino i 17 anni segnavano l'ingresso della donna nell' età da marito; poteva perciò scendere dalla vara dell'adorazione e dell'attesa ed essere pronta per la fujitina.

6) truscitella, fagottino, il vezzeggiativo tempera la concretezza dell'allusione alla fuga d'amore.

[12] Tipico canto da carcerati, ingentilito nel finale dal diminutivo hhiatuzzu: piccolo fiato, respiro amato.

[13] Il testo è stato ricomposto utilizzando frammenti di canzuni diverse sulla base dell'affinità dei contenuti, come attesta l'irregolarità delle rime e il numero dei versi eccedenti la misura dell'ottava.

Aggraziato nell'ultimo tratto il gioco di parole sul colore dei volti.

1) rrisortu, deciso ( da rrisorviri, risolvere, decidere).

[14] Canzuna di spartenza, di separazione,dal contenuto abbastanza scontato.

 4) occhi sireni, limpidi; si dice anche di una bella voce.

[15] Canzone d'amore e di gelosia; mancano i versi 5 e 6, che dovevano introdurre, dopo quello iniziale della trepidazione amorosa, il tema della gelosia, reso drammatico dalla minaccia di morte.

[16] Testo incompleto. Forse allude all'isolamento imposto alle donne dal rigore del costume patriarcale contadino.

[17] Dichiarazione d'amore appassionata e originale: sorprende la metamorfosi dell'innamorato in orologio che batte i minuti della lontananza. Ancora più rara la seconda similitudine: fari campana si diceva della trottola quando rimaneva impigliata nella cordicella che serviva per lanciarla e dondolava come una campana; ora quella cordicella è diventata nodo scorsoio (a scurrituri) e minaccia di strangolare il malcapitato pretendente.

[18] Contro le male lingue che tentano di denigrare la donna , dannandosi inutilmente l'anima (si ngannanu l'arma). La fermezza dell'innamorato, che porta ovunque dentro il suo cuore l'amata, è anche un dispetto contro chi non sa tenere a freno la lingua.

[19] Canzone sottilmente erotica: l'uomo si sente imprigionato dalla bellezza della donna , che paragona ad un prezioso lavoro di oreficeria ( catina...di chinnici magghi, forse collana impreziosita da maglie di quindici tipi diversi), ma vuole sperimentare di persona quanto effettivamente valga tale bellezza e si ripromette di accertarsene alla prima occasione fortunata.

5 nta mbiccheri squagghi, frase idiomatica abbastanza comune, che indica una bellezza florida.

[20] Ai contrasti che vengono dai genitori si oppone la speranza in Dio, con una frase consueta nel linguaggio quotidiano.

9 parori, parole, promesse reciproche.

[21] La rivelazione sconvolgente della bellezza femminile esige come sfondo iperbolico lo stupore di tutto l'universo, in cui si manifestano fenomeni incredibili (figura retorica dell’adùnaton). Alcune immagini derivano dal testo biblico, come i monti che si abbassano (nchianu ddivintànu, sono diventati pianura), le porte dell'inferno che si spalancano (si sprimmànu, si sono aperte senza chiave). Interessante, tra le altre, l’immagine degli alberi che fioriscono all'improvviso. Questo testo, con lievi varianti, è riportato dal Vigo, che lo ha raccolto a Palermo.

[22] Il componimento supera la misura consueta dell'ottava ed è tutto basato sull’immagine del nido e delle difficoltà che ne accompagnano la costruzione.Nei versi finali, ravvivati sul piano ritmico dalla presenza di un emistichio, non si capisce se l'innamorato è più fortunato degli uccelli, perchè il luogo dove egli fa il nido è il cuore sincero della sua donna (pittuzzu, diminutivo), o se anche questo costa sacrifici e dolore. A questa seconda ipotesi sembra richiamare la similitudine iniziale con il tordo (marvizzu ), che svolazza timoroso ad ogni rumore e raccoglie col becco le piume per fabbricarsi il nido.

12 la ma patruna: mea domina, madonna, appellativo presente nella lirica provenzale del '200.

[23] 1 di Marta, da Malta, forse i garofani che provenivano da lì erano di un qualità pregiata.

Il testo, che manca di due versi, rappresenta il fidanzamento come una delicata opera di giardinaggio. Spesso il fidanzato, quando la promessa sposa era molto giovane, dichiarava di volersela “crescere”, cioè di volerne seguire attentamente l’educazione. Naturalmente tutto ciò comportava anche una capillare azione di controllo.

6 ti scippu, ti raccolgo. E’ arrivato il momento delle nozze: l’immagine floreale fonde l’idea della bellezza della sposa con la gioia dello sposo di averla al proprio fianco.

[24] L’immagine del libro nuovo, inizio di una nuova vita dominata dall'amore, ci richiama da lontano alla Vita Nova di Dante, ma subito si associa a quella della gelosia ( non si leggi mai ) e alla dichiarazione di fedeltà assoluta che culmina nell'adùnaton finale: quannu munnu ...e vita mai, vi lascerò solo quando dalla terra sarà scomparsa ogni forma di vita.

3 ggeniu, desiderio, volontà, apprezzamento.

[25] Canto animato da note delicate e tenere, sin dal vezzeggiativo iniziale. Esso rispecchia la concezione della donna da sposare nella cultura patriarcale: una vergine santa, una bellezza angelica, industriosa e pudica (purìta, pulita). Il suo manifestarsi, come nello Stilnovismo, è segno di particolare grazia concessa al suo adoratore e produce effetti miracolosi..

6 alla finestra...mai, affacciarsi alla finestra era considerato indizio di scarsa serietà.

[26] Il testo è piuttosto divertente per il tono di spavalderia su cui è costruito; il registro espressivo, che attinge a locuzioni quotidiane di sfida e di minaccia, è basso.

3 si senti cosa, o cacocciura (carciofo): si sente malandrino, espressione tipicamente siciliana.

5 unn'avi i peri...mettu,dove ha i piedi gli metto la testa, cioè lo capovolgo: minaccia frequente nel linguaggio quotidiano, rivolta in tono scherzoso ai bambini discoli.

6 vicaria, carcere. La spacconata si conclude come dichiarazione di una testa calda, che non ha paura di farsi mantenere a spese dello stato in carcere.

[27] Contesto esotico, ma tipico della Sicilia occidentale, dove le palme furono importate dagli arabi. I datteri, frutti rari e dolcissimi, alludono al desiderio d’amore, qui condiviso dalla donna, che, però, invita alla segretezza, da fanciulla accorta.

3 mi niscia l'arma, o u cori: espressione di desiderio intenso, usata spesso nel linguaggio quotidiano.

[28] Canzone abbastanza nota nella Sicilia orientale, di cui si trovano attestate numerose varianti.

Esprime lo stupore per la forza dell'ossessione d'amore, che ha cancellato persino il sentimento religioso. L'inizio con la ripetizione, l’allitterazione e il successivo chiasmo ( fattu fari, fari m'ha fattu ), acquista un tono appassionato.

[29] Qui è la donna a fantasticare sotto l'effetto dell'innamoramento. I particolari che conferiscono grazia all'insieme sono il cappello, portato con disinvoltura, i capelli dal taglio originale (commu vori illu), come vuole lui, forse a dispetto dei consigli del barbiere, e il vezzeggiativo del comunissimo Pippinu, accompagnato dall'espressione miat’a illu!, beato lui!.

Da notare, inoltre, un raffinato gioco di allitterazioni della l , soprattutto in sede di rima, che accresce il senso di limpida chiarezza dell'insieme, ma potrebbe essere anche un gioco divertito.

L'ottava è incompleta.

[30] Testo originale per la serie di artifici con i quali si esprime un grave stato di indecisione.

Non si sa da che cosa sia determinato, poiché l'ottava è incompleta, ma potrebbe rappresentare la trepidazione che precede una difficile dichiarazione d'amore.

1 Antitesi apparente, dato che non tornu siguru è una litote, e quindi, negando il contrario, equivale alla prima espressione (comincio col dubbio e torno con l'incertezza).

2 cuncertu, decisione, tra una decisione e l'altra comincio a pensare.

3 verso costruito tutto sul pensare ossessivo e sulla difficoltà di prendere una decisione; mi rrisorvu, decido, ma subito ci ripenso.

4 É tutto un gioco di antitesi attinte all'area del lavoro del muratore.

[31] Il malcapitato, che non ha mai avuto fortuna in amore, esprime la sua malinconia e spiega la sua sventura con una serie di iperboli fantastiche, come un dato che segna la sua vita sin dalla nascita.

Interessante la triplice ripetizione del numero 7, come numero magico, fiabesco.

2 ntô vacanti...luna, con la luna mancante, in un periodo innaturale per le nascite che si credeva dovessero avvenire in una delle fasi crescenti della luna.

Un testo simile a questo è stato raccolto da L.Vigo ad Acireale.

Quannu nascivi iù lu sfurtunatu

tinta di sangu rivutau la luna,

stetti tri jorna lu suli ammucciatu,

lu ventu scatinau di la laguna,

ciancìu lu celu di stiddi privatu,

lu mari rucculàu la mia sfurtuna,

setti sunu li donni ch'aiu amatu

e tutti l’àiu persu a una a una.

[32] Fantasticheria dettata dalla gelosia e forse anche dalla ritrosia della donna.Il mare come strumento di distacco è un luogo fantastico, indeterminato; il mezzo, na barcuzza, è fragile e improvvisa è la decisione di tornare, certo dettata da un soprassalto lacerante di gelosia, che spiega l'atrocità della maledizione finale ( in dialetto gastimma ). Si noti il doppio uso del mi.

v 5 mi si veni a mmaritari, ho paura che si vada a sposare: ha valore dichiarativo.

6 e 7 mi si marita,... mi ncattivisci ( possa sposarsi ...possa restare vedova), introduce le imprecazioni e ha valore ottativo. La vedova è detta cattiva (dal latino captiva,prigioniera), perché soggetta di nuovo ai parenti.

[33] Anche se questo testo contiene il nome di Maria, non è stato fornito dall'informatrice come testo religioso. L'interpretazione deve attenersi allo schema della lode di una donna inserita nel contesto della creazione: lo scenario è immenso, ma l'onnipotenza divina ha un limite, non può creare nessuna donna più bella di questa. Si noti l'ingenuità popolare del cielo visto come un cerchio, ma anche l'abilità tecnica in virtù della quale si utilizza la ripetuta anafora di fici come un motivo musicale.

[34] Sono piuttosto numerose le canzoni che rievocano la nascita della bella da corteggiare. Lionardo Vigo le riunisce tutte nella sezione: La nascita.In essa poche hanno affinità con quelle da me raccolte; ad esempio, una canzone da lui raccolta ad Acireale inizia come questa, ma poi prosegue in modo del tutto differente. L'atmosfera è quella delle fiabe, i vezzeggiativi vogliono suscitare tenerezza intorno alla neonata.

1 munita, moneta preziosa, allude al pregio della donna.

2 lluminata,una grande luce e, quindi, fama, rinomanza.

[35] Questa volta la bella ha origini un po’ più modeste, è semplicemente figlia di un conte. Si notano i soliti vezzeggiativi attribuiti ai neonati e i riferimenti fiabeschi al mondo orientale.

4) la mamminella, la levatrice, vezzeggiativo. Nel dialetto di S.DomenicaVittoriail termine è quasi scomparso, ma rimane come soprannome.

2 miritanti,meritevole di ammirazione, splendido.

8 sona lu ceru, il cielo organizza una festa da ballo; in dialetto festa da ballo si dice u sonu. Originale l'immagine dei beati che festeggiano la grazia del linguaggio della donna con una danza.

[36] Il testo manca di due versi, che si trovano nella redazione pubblicata da L. Vigo, raccolta a Casteltermini:

Quannu nascisti tu scumidda d'oru

l'angili di lu celu s'alligraru

dimmillu cu ti detti ssu tisoru

novi torci d'argentu t'addumàru.

Tu sula cci po' stari ammenzu l'oru,

'mmenzu li stiddi chi ncelu ngastaru,

e quannu sparmi ssi capiddi d'oru,

la notti fa' parìri jornu chiaru.

Tipica canzone di nascita .La donna bambina è assimilata ad una santa, dotata di un corredo di tesori e di arredi sacri, segni tutti, insieme al contesto paradisiaco e celeste, di santità. Ma l'immagine luminosa dei capelli biondi sparsi come schiuma d'oro (cfr scumma di oru ) riporta al contesto della seduzione umana.

4 ngastànu, hanno incastonato; le stelle viste come elementi di oreficeria.

[37] In L. Vigo il testo, che proviene da Borgetto, si presenta così:

Quannu nascisti tu, stidda lucenti

nterra calaru tri angili santi,

vinniru li tri re di l'Orienti,

purtannu cosi d'oru e di brillanti;

tri aculi vularu prestamenti,

dannu la nova a punenti e a livanti,

bedda, li to biddizzi su' putenti,

avi nov'anni chi ti sugnu amanti.

Il testo completo è più coerente. Si noti ancora nello schema di lode il riferimento al tema natalizio dei Magi e dell'annuncio del miracolo a tutto il mondo da parte degli angeli.

[38] Testo molto noto, specialmente nella Sicilia orientale. Comune l’immagine della rosa e il richiamo alla fiaba del re che sposa la bella contadina; qui , però, lo sfondo non è indeterminato, come nelle fiabe, ma è l'Italia meridionale.

7 castella, città fortificate, cinte da mura.

[39] Mancano due versi, ma il significato è ugualmente chiaro: il giovane si trova a passare per una contrada di campagna piuttosto primitiva (pagghiarelli, capannucce di paglia); due belle contadine fiorenti gli offrono frutta, come segno di ospitalità o come implicito atto di seduzione, ma il bravo giovane ha ben altre mire, vuole accasarsi comodamente.

1 di nta lli cosi, da quelle contrade sperdute; cfr. nta lli cosi cosi, in giro per luoghi fuori mano.

[40] Lamento di un innamorato sfortunato, i cui tentativi vanno tutti a vuoto. Attraverso una ricca serie di analogie contrapposte, tutte appartenenti alla tipologia dell' adunaton ,che è figura retorica centrata sulle cose impossibili, il povero amante deluso confronta i suoi insuccessi con la fortuna, forse immeritata, di altri. Di alcune parti gli informatori stessi hanno fornito varianti: v4, autri li petri li fanu nnatari;v5 autru fa turtagni di sammucu,/ ja di jnestra non li pozzu fari, altri fanno ritorte di sambuco,/io non le posso fare di ginestra ( evidentemente la ginestra è più resistente del sambuco).

5 ligazzi, ritorte per legare il fieno o altro.

Il Vigo ne riporta una redazione raccolta a Palermo:

Di quantu sbinturati cc'è nta lu munnu,

unu di chisti mi pozzu chiamari,

jettu la pagghia a mmari e va a lu funnu

e ad autru viju lu chiummu natari;

autru fa palazzi ntra un sdirrupu

e iù ntra chiani non ni pozzu fari,

autru munci la petra e nesci sucu

pri mmia siccaru l'acqui di lu mari.

[41] Tipica canzone di lode, centrata su un solo particolare fisico, i capelli come delicato lavoro di oreficeria, immagine che non ha nulla da invidiare alle raffigurazioni barocche. Per il resto, la luna e il sole prima sono vassalli della bella e superati dalla sua bellezza, poi alludono allo splendore dei due fidanzati, quando appaiono insieme. Alla fine, così, tra uomo e donna si ristabilisce la gerarchia della cultura patriarcale: l'uomo splende come il sole, la donna come la luna, di luce riflessa.

[42] L'elogio della donna ,che serve anche a valorizzarne il nome, in verità abbastanza comune, è concentrato sul petto, cuore e seno al tempo stesso, esaltato per la sua bellezza, addirittura come un giardino che produce fiori, come orizzonte da cui spuntano sole e luna. Anche qui si nota l’arditezza dell’invenzione.

4 cotu, come dopo cugghiutu, raccolto.

Una variante di questa canzone è stata raccolta da L. Vigo a Casteltermini:

Cu ti l'ha misu a ttia ssu nnomu d'Anna

cu ti lu misi ssu nnomu d'amuri,

mi porti lu garofalu a la banna,

di centu migghia si senti l'oduri.

Dammillu e poi to mamma m'addimanna:

"Di quali grasta cugghisti stu sciuri?"

"L'aiu cugghiutu nta lu pettu d'Anna,

unn'abita la luna cu lu suli".

[43] L'amore tra i due è contrastato dai parenti di lei. La donna abita nella stessa strada dell'innamorato, ma i divieti la rendono irraggiungibile; come nelle fiabe, ci sono mille ostacoli da superare per raggiungere l'oggetto del desiderio. Si definisce quasi un'atmosfera da incubo notturno, dove le azioni più consuete diventano terribilmente impossibili. Solo il pensiero d'amore, come nelle poesie degli stilnovisti (senzu mia, pensiero, sentimento mio), può farsi portatore di un saluto e di una speranza.

2 muntigari, nominare esplicitamente, cfr. mentovare dell'italiano medioevale.

[44] Il garofano, fiore tipicamente mediterraneo, viene spesso usato come simbolo di una bellezza femminile altrettanto mediterranea. Consueto il tema del furto del cuore, mentre è più popolare il significato implicito nel verbo rrimullari (rendere molle, malleabile), che è spesso usato in senso figurato con il significato di convincere. Qui, praticamente, il corteggiatore si vanta delle sue capacità di seduttore, ma deve riconoscersi vinto e affascinato dalla ritrosia della donna, oltre che dalla sua bellezza.

[45] Il testo, mutilo dei versi 5 e 6, è abbastanza originale per lo scambio di battute tra la madre della ragazza e l'aspirante fidanzato. Le parole della donna sono accattivanti: l'appellativo ucchiuzzi di cardillu, occhietti di cardellino, allude alla vivacità dello sguardo carico di desiderio rivolto verso la ragazza. Doveva seguire qualche minaccia di rapimento violento o di suicidio, alla quale la madre rispondeva in modo conciliante e sostanzialmente con una promessa.

[46] Il testo è costruito tutto sulla successione dei numeri, che gli conferiscono l'andamento di una filastrocca. Come le filastrocche, pertanto, esso non ha un andamento lineare e facilmente comprensibile; quello che sembra evidente è che i regnanti più ricchi e gli innamorati più belli che possano esistere non sono degni di aspirare al possesso di questa donna, dagli innumerevoli pregi che non si lascia attrarre neanche dalle bellezze supreme del cielo, moltiplicate in misura iperbolica e fantastica.

[47] Progetto matrimoniale suggerito più che dalla bellezza dalla laboriosità e dall'onestà della donna. E' il modello femminile elaborato nei secoli dalla cultura patriarcale, come sposa ideale,desiderabile anche se povera.

1 purìta, pulita, accurata nei lavori femminili.

2 pumata, unguento profumato: è il profumo della perfezione.

3 mbasciata, richiesta di matrimonio.

[48] La ragazza è irrequieta, ha fretta di catturare il pretendente, il quale, invece, chiede una dilazione, da Natale a S. Vito (la ricorrenza è a metà giugno). Poi la sposerà comunque, con denari o senza. Si può notare da un lato nella impazienza della ragazza la condizione della donna, che spesso nel mondo contadino aspirava al matrimonio per potere avere un ruolo in qualche modo meno passivo nel nuovo stato matrimoniale; dall'altro lato la risposta evasiva del giovane, che non è sicuro di volersi fare mettere in trappola.

[49] C'è stata una separazione, non si sa per quale motivo; il pensiero della donna amata affiora all'alba, lungo la strada tra Palermo e Messina, percorsa a piedi, col ritmo lento del tempo, non ancora delle macchine, in cui c'è spazio per i ricordi e la tenerezza di una lettera d'amore.

4 rigurdài, parola chiave del testo: mi ricordai.

[50] Variazione sul tema del fazzolettino (muccaturi) come pegno d'amore, a cui si associa il tema della segretezza per evitare i pettegolezzi della gente. Si intuisce, però, che il fazzolettino tanto desiderato, che l'innamorato vuole portare a ricamare con l'amore e il suo cuore, ha un esplicito significato di prova d'amore.

[51] Il testo, che è una richiesta di perdono, ricorre alla parola-rima bbeni, generando una certa monotonia

[53] Ancora un canto di separazione ( spartenza ). Patetico il tono generale, soprattutto nella notazione della solitudine in terra straniera e senza la donna amata: cu sa la primma sira unni mi scura.

7 sellu chi la morti non mi spara, modo di dire abbastanza comune, qui trasformato in verso malinconico.

[54] 5 cu sa forzi, chissà, forse; congiunzione ipotetica.

[55] La lettera è interlocutrice e messaggera dell’innamorato, come in tanta poesia colta del medioevo.

[56] lettu di Spagna: forse si allude ad uno stile particolare di arredamento, ma è più probabile che si sia voluto così risolvere una rima difficile con il successivo spagna ( spaventa ), parola con cui forma una rima equivoca. Da sottolineare la tenerezza con cui l’innamorato tratta la donna, vista come una bambina innocente e delicata.

[57] La prima parte del testo è costruita con un gioco esperto di analogie e similitudini incrociate.

Lo splendore della donna, all’inizio, rischiara il buio della malinconia; poi c’è un sofisticato furto incrociato tra la donna e il sole: raggi e spera sono sinonimi: infatti spera è il disco del sole, il suo cerchio di luce e di raggi.

[58] Si noti il contrasto tra i primi sei versi, che hanno il tono fiabesco delle canzoni di nascita, e gli ultimi due, realistici e sbrigativi.

[59] E’ la canzone più lunga che io abbia registrato, di due versi superiore alla misura tradizionale. Vi si notano i temi consueti della poesia di lode; più interessante, ma presente già nella poesia siciliana del XIII secolo di Jacopo da Lentini, il rifiuto di entrare in Paradiso senza la propria donna ( Io m’aggio posto in core ).

1 sapurita, di bell’aspetto: simpatica fusione, nel dialetto, di bellezza e di sapore.

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