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Lettera sul Signor Conte di Cagliostro

Il conte Alessandro Cagliostro

Estratta da «Journal encyclopédique ou Universel» dedicato a Sua Altezza Serenissima Il Duca de Bouillon – Anni 1781 – Tomo V Parte I – A. Bouillon, dalla tipografia del Journal – Con approvazione e privilegio.[1]

1°  Luglio 1781

Lettera sul Signore il Conte di Cagliostro, ed in particolare su una guarigione dallo stesso effettuata; scritta da Strasburgo, il 31 maggio scorso, dal signore Cavaliere Langlais, capitano dei dragoni nel reggimento Lescure.

Il mio mestiere non mi ha permesso di studiare l’arte del dire bene; inizierò quindi col chiedere grazie per il mio stile; ma ho dei benefici da rivelare, delle virtù da dipingere; simili argomenti possono fare a meno dell’eleganza dell’espressione, e della magia dei colori. Tuttavia non posso fare a meno di provare un grande imbarazzo: il fatto è che devo parlare sempre di me, e che mi è difficile presentarmi senza fare pietà; vedetemi però sotto il peso della malattia la più straordinaria e la più spaventosa: un’apatia universale in mezzo agli esseri che mi erano i più cari, un ritorno periodico e frequente di disgusto, d’insonnia e di febbre e, con atroci contrazioni dello stomaco, un malessere perpetuo, un’irritazione così violenta nel genere nervoso, che non ero più padrone di alcuno dei miei movimenti, infine uno scompiglio cosi assoluto che  sarebbe stato quasi orgoglio credermi essere capace di ragionare. Il poco di ragione che mi rimaneva serviva solo ad illuminarmi sul precipizio terrificante dove ero trascinato; avrà voluto cento volte perdere questo deplorevole resto, quando vedevo mia moglie, mio fratello, i miei amici prodigarsi per me, trafugare le loro lacrime ed assumere le precauzioni le più umilianti contro l’abuso che il meccanismo dei miei organi ed il mio istinto prostrato mi avessero fatto fare della libertà. Quando vi avrò detto che non c’è un sentimento nella natura che non venisse a promettermi la sorte la più fortunata, che ero altresì felice della mia famiglia, del mio stato, dei miei compagni, in una parola sola del mio carattere, e che un disturbo impercettibile agli occhi della medicina e dei medici avvelenava tutti questi godimenti, e mi rendeva l’esistenza odiosa, avrete ancora solo una debole idea della degradazione in cui ero caduto, quando il cielo mi indirizzò al conte Cagliostro. Non vi fornirò dettagli; ho troppo fretta di farvi sapere che sono rientrato in tutti i miei diritti, in tutti i miei piaceri; le nuvole, i vapori di cui la mia testa era riempita, si sono dissipati ; i miei pensieri cupi sono svaniti ; questi progetti così funesti sono diventati tutti ridenti, tutti piacevoli ; ho già fatto le prove di quasi tutte le sensazioni vive, senza il minimo incidente. Lo stesso dispiacere, la cui più leggera ferita mi avrebbe buttato, tre mesi fa, nelle convulsioni le più dolorose, non mi  colpisce più che come un uomo sensibile, e mi trovo sufficiente forza per consolare il mio liberatore della morte di uno dei miei concittadini, che una fatalità inconcepibile gli ha appena strappato nel momento in cui ognuno si affrettava a congratularlo della sua guarigione.

Non credete che un privilegio particolare mi abbia valuto più soccorso o attaccamento da parte del conte : tutte le distinzioni della sociétà si fermano alla sua porta; il più ammalato o il più povero, ecco quello che per primo fissa la sua attenzione e le sue cure. La sua condotta non è misteriosa ; Strasburgo tutta intera può seguirla e conoscerla ; ma lo studio che ho fatto dei suoi principi, della sua inesauribile umanità, l’eccellenza del suo cuore, m’ispirano ancora più venerazioni che la mia salute non possa ispirarmi di riconoscenza. Ci sono delle verità che assomigliano a delle favole ed il numero dei mortali che possono credere alle grandi virtù non è sfortunatamente il più notevole; non oserei quindi basarmi sulla mia sola testimonianza per persuadere il pubblico; ma mi ritengo degno di convincere chiunque volesse propormi di dubbi sul disinteresse, sulla generosità, sulla beneficenza di questo illustre straniero. Prenderò allora in prestito la voce del povero che guarisce e che alimenta, del ricco di cui rifiuta i doni, sotto qualsiasi  forma gli stessi gli vengano presentati, dei grandi di cui disdegna le ricerche e le fastose proposte. Dal rapporto unanime di queste tre classi, posso naturalmente sperare la fiducia di chiunque non sarebbe personalmente interessato a rifiutarmela. Non cercherò di alzare il velo che il conte si compiace a lasciare sulla sua patria, sulla sua nascita e sugli eventi di una vita che sembra avere interamente consacrato al sollievo dei suoi simili; ma mi riterrei un ingrato, se non pubblicassi la mia risurrezione.


[1] documento trovato in internet da Gildas de Langlais, dicembre 2002


Traduzione in Italiano del prof. Lubrano

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