SE CÈ NON C’È
Sebastiano Messina
Fino a qualche giorno fa, il leghista Alessandro Cè consegnava quattro biglietti da visita diversi. Nel primo c'era scritto «deputato al Parlamento», nel secondo «Assessore alla Sanità», nel terzo «Consigliere della Regione Lombardia», nel quarto «Consigliere della Provincia di Brescia». Un simile cumulo di cariche è assai singolare. Però si spiega con una regola della grammatica: la punteggiatura è muta. Il fatto è che ogni volta che si trattava di presentare le liste, e manca l'ultimo nome, un dirigente leghista domandava, ansioso:
«Insomma, c'è o non c'è, questo candidato?». Gli altri lo rassicuravano: «C'è, c'è». Ma quello, puntualmente, non avvertiva la virgola e non sentiva l'apostrofo. Così capiva «C'è Cè». E lo candidava.
Eletto in quattro cariche contemporaneamente, si capisce che Cè sia andato in tilt, e in pochi giorni ne abbia perse due: Formigoni lo ha sospeso dall'assessorato e la Camera ha accolto le sue dimissioni da deputato. Forse dovrà rinunciare anche alla terza, e accontentarsi di un solo scranno. Sono cose che capitano. In compenso, sulle poltrone che ha lasciato libere, forse metteranno una targa ricordo: «Qui non c'è Cè: però c’era».
Sebastiano Messina, La Repubblica, settembre 2005 |