Minoranze
linguistiche storiche tra eredità e contaminazioni
di Pierfranco Bruni
C’è un processo interessante
che tocca due elementi significativi della cultura antropologica
delle minoranze linguistiche storiche.
1. La presenza nella
contemporaneità attraverso il filtro delle tradizione.
2. Le eredità che
costituiscono un patrimonio sia immateriale sia di intreccia
territoriali e geografici.
Le minoranze linguistiche
storiche oggi costituiscono un serbatoio necessario per leggere o
rileggere la carta non solo linguistica di una Nazione, ma
definiscono i rapporti e i legami che una civiltà come quella
italiana ha filtrato nel corso dei secoli. La lingua ha la sua
radicale importanza ma ci sono elementi antropologici che si
lasciano leggere come una vera e propria mappatura culturale e
umana.
Tre esempi. I popoli Germani
hanno una loro storia antica che si è intrecciata tra modelli
identitari e letteratura. Così quella Franco – provenzale o quella
Francese. I territori rappresentano un dialogo che mai separa e
sempre unisce grazie ad un patrimonio di culture sommerse che si
definiscono proprio ella dimensione dei beni culturali. La lingua
italiana trova la sua maggiore forza non solo in una dimensione dove
l’identità diventa fondamentale ma anche nel saper convivere con le
ormai “indispensabili” contaminazioni. La tutela della cultura
italiana deve confrontarsi costantemente con i risvolti letterari e
storici che provengono da altre lingue e culture.
È un presupposto sul quale
occorre riflettere non solo dal punto di vista strettamente
linguistico ma anche antropologico. È un dato che risulta di estrema
importanza soprattutto se si considera il fatto che la lingua è
parte integrante di un modello di civiltà all’interno di processi
anropologici. La storia d’Italia si è sempre espressa con le sue
identità e la sua robusta appartenenza mai smettendo di compararsi
con altre civiltà, con altre culture, con altre etnie. È naturale
che la sua eredità va espressamente salvaguardata ma difenderla non
significa non accettare o non “modulare” le contaminazioni che
costituiscono una ricchezza nei valori prioritari di un confronto
tra civiltà. Si tratta di uno dei punti focali di una discussione
che frequentemente si avanza nella nostra contemporaneità.
La lingua italiana, e la sua
cultura, non è minata dalle contaminazioni all’interno del
territorio italiano. Piuttosto deve essere garantita all’esterno del
territorio nazionale. D’altronde anche gli stessi dialetti hanno
come riferimento sempre un ceppo madre che è, appunto, l’italiano.
Il raccordo tra l’italiano e i dialetti (mi riferisco chiaramente ai
dialetti e non alle lingue altre pur presenti sul territorio
italiano) ha delle chiavi di lettura che restano ben sottolineate
nella storia di una Nazione. La letteratura italiana non dimentica
di confrontarsi, in molte occasioni (e direi spesso se si
considerano alcuni scrittori e poeti), con i dialetti che nascono
all’interno delle varie comunità.
Il dialetto, il più delle
volte, è la rappresentatività di una comunità che diventa
espressione di un vocabolario simbolico. Il caso di Pier Paolo
Pasolini con il suo modello friulano è una testimonianza
emblematica. Ma in questo caso si tratta di una vera e propria
scelta tra l’italiano (lingua ufficiale) e il dialetto e non si
avverte in Pisolini contaminazione alcuna. Anzi è il dialetto che
prevale ma resta all’interno di un processo che pone all’attenzione
quella cultura popolare che è una eredità di territorio, di
geografia umana e di realtà storica.
In altri scrittori, invece,
si avvertono delle vere e proprie contaminazioni. Contaminazioni che
hanno una loro impostazione espressiva ma anche dei moduli
linguistici all’interno della lingua italiana stessa. Il caso di
Stefano D’Arrigo o il caso di Cesare Pavese che modula un
fraseggiare, una parlata, una sintassi all’interno di un incontro
tra lingua e dialetto. Non siamo all’impatto sperimentale -
linguistico di Carlo Emilio Gadda, ma in Pavese si “consumano”
quelle forme di una storicizzazione del dialetto all’interno
dell’identità della lingua nazionale.
Un lavoro di grande portata
in una impostazione di recupero delle realtà dialettali in un
contesto di identità dell’italiano. Mi pare che sia una cifra di
straordinaria valenza perché non depaupera assolutamente la lingua
nazionale bensì la arricchisce con una “fisiologia” linguistica
ricavata da modelli identitari locali. È naturale che la lingua
italiana si è aperta e si è sviluppata nel corso dei secoli.
I popoli che hanno
attraversato l’Italia hanno lasciato una loro eredità anche
linguistica e sono stati depositari di culture. La nostra lingua si
è sempre aperta ad una “civilizzazione” di comparazioni e di
incastri espressivi.
Da questo punto di vista c’è
stata una vera e propria storicizzazione di elementi grazie proprio
alla presenza di diversi popoli sul territorio italiano. Ancora oggi
ci sono termini, vocaboli, modi dire che hanno chiari richiami
storici ma, come già si accennava, la letteratura ha dato il suo
notevole contributo. Voglio qui citare l’esperienza dell’antologia
degli scrittori americani che ha visto protagonisti da una parte
Elio Vittorini e dall’altra ancora Cesare Pavese. Quegli scrittori
americani tradotti in italiano hanno contribuito ad immettere nella
letteratura italiana e quindi nella lingua italiana codici
linguistici che sono prettamente angloamericani.
Credo che sia stato un
riferimento da non trascurare l’impatto tra scrittori di lingua
inglese e letteratura italiana. Ma siamo sempre dentro alla capacità
di tenuta della lingua italiana la quale chiaramente va tutelata e
non sacrificata, almeno in Italia, a trasmissioni linguistiche
altre.
Ora si pone un’altra
questione. In Italia insistono lingue e comunità provenienti da
altri Paesi non solo europei. Nel confronto con altre identità e con
lingue di altri Paesi l’italiano deve imporsi all’attenzione con la
sua appartenenza. Un conto è realizzare un confronto con lingue di
altri Stati un altro conto è permettere di a queste lingue altre di
prendere il sopravvento sull’italiano in Italia. Attenzione. Si
parla di vere e proprie lingue e non di dialetti derivanti da
contesti italiani. È qui che la lingua italiana deve risultare
garante di una civiltà e di una storia.
L’italiano in Italia deve
restare lingua madre, lingua prioritario. Ma credo che il problema
non si dovrebbe neppure porre restando all’interno dell’Italia. È
naturale che ci sono aspetti antropologici o etno-antropologici che
sono la risultante di altre civiltà presenti in Italia. Ed è un dato
incontrovertibile che questi aspetti devono godere di una tutela ma
la lingua italiana non deve essere messa in condizione di
subalternità. È necessario soprattutto nella attuale temperie
riflettere sul ruolo delle contaminazioni linguistiche che sono
riferimenti non trascurabile ma queste non possono sostituirsi con i
condizionamenti linguistici.
La lingua è l’espressione
identitaria e in Italia non può che costituire la vera chiave di
lettura di una civiltà sia attraverso modelli storici sia
soprattutto attraverso una composizione di civiltà letteraria nella
quale gli scrittori e i poeti risultano i veri protagonisti e i veri
contaminatori. Tutte le testimonianze, tutti i reperti, tutte le
presenze chiaramente materiali sono strumenti di verifica e di
valutazione sul piano dell’indagine. Ciò si evidenzia man mano che
la ricerca è andata avanti.
Una testimonianza diventa
non solo una rappresentazione del territorio ma sostanzialmente una
espressività di codici e di elementi etno - antropologici.
All’interno di una tale riflessione le relazioni tra aspetto fisico
del territorio e quello più direttamente antropologico delle culture
sommerse che vi hanno abitato costituiscono il vero dato di una
comprensione di ciò che si è manifestato in un determinato luogo.
Proprio per questo anche il
riferimento archeologico e architettonico non vive di episodicità ma
si caratterizza per la sua articolazione d’indagine e di continuità
tra cultura di appartenenza, elementi ereditati, bagagli di
contaminazione e ciò che è concretamente visibile. Non possono
esserci via di mezzo almeno nella sostanza teorica. È, comunque,
naturale che l’impatto che lo studioso vive è inizialmente pratico
ma questa sua praticità è certamente dettata da basi teoriche in
quanto la ricerca parte dalla conoscenza diretta di una questione ma
il “viaggio” sul territorio si stabilizza su presupposti di analisi
sul terreno.
Leggere il terreno -
territorio significa non solo capirlo e conoscerlo dal punto di
vista archeologico, storico e geografica ma significa altresì
definirlo nella sua specificità culturale. Il luogo, dunque, è un
territorio ben definito o meglio il territorio caratterizza un
luogo. Ma sul luogo definito tale convivono fenomeni e fattori
addirittura pre – archeologici o meglio tali fenomeni e tali fattori
sono la risultante di una sistematica insistenza di civiltà e di
insediamenti di popoli. I popoli insediati creano vita e la
quotidianità porta a manifestazioni di relazioni concrete con il
luogo.
I popoli che vivono si
definiscono nei materiali che usano. I popoli che abbandonano un
luogo o che scompaiano lasciano sempre tracce di materiali. Nel
tempo delle contaminazioni i luoghi e i popoli sono sempre più
espressione di civiltà. Una espressività che si sviluppa in un
rapporto culturale ben definito che va nella direzione sottolineata.
Il senso dell’etno - cultura trova proprio qui il suo punto di
maggiore chiarificazione. Le minoranze linguistiche, in questo caso
preciso, sono una interazione tra la storia e i modelli
contemporanei. Soprattutto in un contesto in cui lingua e
antropologia interagiscono e a loro volta si integrano.
Pierfranco Bruni
Coordinatore Minoranze Linguistiche del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali |