Pensiero Meridiano

 

L’Europa difenda internet dalla censura di Stato

Carl Bildt

Al di là delle notizie ufficiali, negli ultimi tempi è in corso una battaglia cruciale per il controllo di internet. Da una parte ci sono gli Stati Uniti che vogliono mantenere il controllo del web e sono riusciti a ottenere l'appoggio (seppur riluttante) della maggior parte della comunità mondiale di internet. Per quest'ultima, gli Usa, tra i possibili difensori del sistema, sono forse il male minore.

Dall'altra parte c'è un insieme di Stati che vuole avere il maggior controllo possibile di internet al fine di limitarne il potere, vera e propria minaccia per il regime. Capeggiato dal teocratico Iran, questo gruppo comprende Arabia Saudita, Cina, Cuba e Venezuela. E forse, presto, sarà raggiunto anche dalla Corea del Nord. L'Unione europea sembra vacillare nel mezzo, incerta da che parte stare. Ed è proprio la sua titubanza che, di recente, l'ha portata ad assumere una posizione che le è valsa gli applausi entusiasti di Teheran, Pechino e L'Avana.

La battaglia è solo una parte dei preliminari che precedono il summit mondiale sulla società dell'informazione, previsto per novembre a Tunisi. Dall’incontro verranno fuori tante prolissità, ma alla fine il discorso ruoterà unicamente intorno alla lotta per il controllo di internet.

Internet è tanto strano quanto importante. Il suo sviluppo, fin dalle origini nei laboratori di ricerca americani, è stato portato avanti da una comunità mondiale di singoli esperti. Gradualmente, il suo dominio si è evoluto in un insieme di istituzioni che raggruppa professionisti, investitori e interessi pubblici in un sistema privo di controlli, aperto a chiunque voglia parteciparvi. Si tratta di un approccio innovativo, seppur non necessariamente perfetto, alla gestione globale di risorse vitali. E ha funzionato.

Internet sta diventando ogni giorno sempre più fondamentale per l'economia e la società globalizzate in cui viviamo. un po' come l'acqua lo è per la vita. Il fatto che, negli ultimi anni, l'innovazione, la trasparenza e l'affidabilità siano passate di mano in mano nel corso di questa rivoluzione dimostra che la struttura di gestione di internet non ha gravi difetti.

Sarebbe pericolosissimo instaurare adesso un meccanismo internazionale, controllato dai governi, che guidi le sorti di internet. Non solo si farebbe il gioco dei regimi che vogliono limitare la libertà che può portare internet, ma si rischierebbe pure di soffocare l'innovazione e, infine, di mettere in pericolo la sicurezza del sistema. Il solo tentativo di mettere in piedi tale meccanismo potrebbe causare dei conflitti che frammenterebbero l'attuale sistema mondiale in una moltitudine di sistemi differenti, più o meno chiusi.

In seguito all'invasione americana dell'Iraq, una parte dell'opinione pubblica si è subito schierata contro i pesanti sforzi da parte degli Usa per mantenere il controllo su tutto nel Paese. Ma sarebbe pericoloso permettere che tali proteste ci portassero a concedere poteri importanti a regimi autoritari. È qui che la Commissione europea sembra essersi spinta troppo oltre. La proposta di istituire un meccanismo che potrebbe facilmente trasformarsi in un mezzo per limitare l'accesso a internet ha incontrato la feroce opposizione dei professionisti del web di tutto il mondo e un grande entusiasmo da parte degli Stati autocratici.

Non è così che l'Europa deve affrontare la questione. Internet è vitale per il nostro futuro e tutti noi europei dovremmo, più di chiunque altro, preservare l'essenza di un sistema che finora ha funzionato incredibilmente bene. Se ciò dovesse costringerci a lasciare nelle mani degli Stati Uniti il potere di tutelare il sistema, sarà sicuramente meglio che lasciarlo ai vari Paesi teocratici è autocratici sparsi per il mondo.

L'Europa ha tempo di rivedere la sua proposta. Rifiuto di credere che José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, o il primo ministro britannico Tony Blair, attuale presidente di turno dell'Ue, sappiano cosa è stato fatto in loro nome. Ma se la questione non è in cima al loro ordine del giorno, posso assicurare che, se le cose dovessero andare per il verso sbagliato, lo sarà molto probabilmente a Washington.

È ora che Blair e Barroso se ne occupino, altrimenti si rischia di mettere in pericolo uno dei più potenti strumenti di libertà e benessere dei giorni nostri.


Tratto da Il Secolo XIX, 13 ottobre 2005: © Intemational Heraìd Tribune e per l'Italia il Secolo XIX (Traduzione di Davide Tognolini). Carl Bildt è un ex primo ministro svedese.

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