Il sacerdote ha visitato la bidonville dove i lavoratori vivono nelle
baracche e lavorano nei campi fino a 12 ore al giorno per 35 euro
Immigrati schiavi, l'inferno di Cassibile
Zanotelli: "Una vergogna per l'Italia". E la polizia viene a controllare
solo quando la raccolta è finita
di Giovanni
Maria Bellu
CASSIBILE -
La bidonville di Cassibile è riuscita a sorprendere persino uno dei
maggiori esperti mondiali di insediamenti umani degradati. "Mi vergogno
di essere cristiano e di essere italiano", ha detto il missionario
comboniano Alex Zanotelli dopo aver visitato il boschetto di olivi,
mandorli e carrubi che tutti gli anni, da aprile a giugno, diventa il
rifugio di centinaia di immigrati, per buona parte clandestini,
impiegati come schiavi nella raccolta delle patate. A guidarlo nel tour,
il parroco siracusano Carlo D'Antoni e Guilhem Molinie, coordinatore per
la Sicilia di "Medici senza frontiere".
Padre
Zanotelli arriva verso le 7 di sera. Prima di tutto, sosta davanti alla
tenda-ambulatorio. È qui che il termine "schiavi" - che potrebbe
apparire un'iperbole - ha una conferma diagnostica. Oggi, per esempio,
hanno chiesto d'essere visitati quattro giovani africani colpiti da
lombosciatalgia. Questa patologia rappresenta il 20-30 per cento del
totale delle malattie del campo. È causata dal fatto che i raccoglitori
di patate devono stare con le gambe dritte o appena piegate, la schiena
curva, e soprattutto devono lavorare utilizzando sempre entrambe le
mani. Chi si accoscia viene severamente redarguito. Rischia di perdere
il posto. Così per otto ore, quando va bene, ma a volte dieci e anche
dodici, se c'è da fare lo straordinario.
Il tour
prosegue di tenda in tenda, tra i sentieri che seguono l'orografia
dolcemente mossa di questo altopiano. "Siamo nell'area dei nordafricani
- spiega Molinie - Sono circa 150, quasi tutti irregolari". Le tracce
dell'incendio di lunedì pomeriggio sono ben visibili. Una tenda è
completamente circondata dalla terra annerita e non si capisce come
abbia fatto a restare in piedi. "Rispetto alle bidonville africane -
spiega padre Zanotelli a conclusione di un breve colloquio con due
ragazzi marocchini che si riposano su un vecchio materasso sistemato
all'esterno di una baracca realizzata con un telo di plastica, la porta
di una doccia e alcuni pezzi di lamiera - c'è una differenza. Là le
persone sono più accatastate. Qua hanno più spazio". L'altra differenza
è che dovremmo essere in Italia.
Il
missionario ce l'ha ben presente. Da adesso poi conclude ogni colloquio
con lo stesso breve discorso, che suona sempre così: "Ragazzi, siete in
una condizione vergognosa. Ma contiamo su questo nuovo governo perché
spazzi via una legge disumana e immorale come la Bossi-Fini. Faremo
tutte le pressioni possibili perché ciò avvenga". È un uomo minuto, gli
occhi chiari, l'aspetto fragile. La durezza dei toni sorprende gli
immigrati: "Inshallah", dice uno di loro. "Inshallah", risponde lui
sorridendo.
Secondo dati
raccolti dalla Rete antirazzista, a Cassibile ci sono state due
operazioni di polizia consecutive per individuare i clandestini. Una il
31 maggio, l'altra il primo giugno. Sono state identificati oltre
duecento degli ospiti della bidonville. C'è chi fa notare che queste
operazioni avvengono nella fase finale della raccolta delle patate,
quando la domanda di manodopera diminuisce. E comunque non colpiscono
mai i "caporali", cioè i reclutatori dei nuovi schiavi, quelli che
intascano 15 dei 50 euro che costituiscono la paga giornaliera e
controllano che i lavoratori stiamo curvi.
Tra i
presenti c'è anche Antonio Rotondo, deputato Ds, che mostra il testo di
un'interrogazione parlamentare che ha appena scritto. Chiede "per quale
ragione l'attività repressiva è stata rivolta esclusivamente nei
confronti dei lavoratori immigrati stagionali e mai nei confronti dei
datori di lavoro".
Padre
Zanotelli ora osserva un rettangolo di grosse pietre all'interno del
quale sono state sistemati dei pezzi di cartone. È la moschea. Un lato
del rettangolo è spezzato nelle parte centrale da alcuni sassi che
formano una punta. È il "mihrab" e indica la Mecca. Casualmente la
direzione coincide con quella del mare da cui quasi tutti gli ospiti
della bidonville sono venuti. Chi pochi mesi fa, chi da anni. E questi
ultimi vagano, da eterni clandestini, da un capo all'altro del
meridione.
Siamo nel
settore Africa subsahariana e il missionario, che è stato otto anni in
Sudan prima di trascorrerne quattordici in Kenya, saluta nella loro
lingua un gruppo di ragazzi seduti per la cena attorno a un tegame pieno
di riso bollito. "Cosa hai fatto da quando sei qui?", domanda a uno di
loro. "Prima le arance, poi le patate, poi i pomodori" è la risposta.
A parte il
mal di schiena, le altre patologie del campo sono ambientali: disturbi
gastrointestinali, malattie dermatologiche causate dalla scarsa igiene,
scabbia. L'acqua è a un chilometro di distanza, nella fontana del paese.
"Abbiamo sistemato quindici docce e altrettanti servizi igienici -
spiega Molinie - Siamo rimasti dentro gli standard minimi previsti dall'Onu".
Si riferisce ai campi per rifugiati del Terzo Mondo. "Ma non si può
trovare acqua, scavare un pozzo?", domanda il missionario. È il suo
unico momento di distrazione. Siamo in Italia e questo è un terreno
privato. Impossibile realizzare opere permanenti. La stessa
tenda-ambulatorio di Medici senza frontiere è stata denunciata dal
proprietario del boschetto per l'occupazione abusiva del suolo.