Le immigrate vittime della diversità culturale
di Luisella Battaglia
“Costretta alle nozze, indiana si uccide." Quante donne di "culture
altre" dovranno ancora morire prima che il femminismo rinunci al
"politicamente corretto" e definisca senza infingimenti barbare certe
pratiche come il matrimonio combinato, la poligamia, l'infibulazione?
Sulla violenza praticata contro le donne immigrate non si ancora
costituito un movimento convinto né si aperto un franco dibattito, anzi
molti segnali indicano uno sconcertante imbarazzo.
In una recente intervista Susanna Camuso, fondatrice del movimento
"Usciamo dal silenzio" ha dichiarato: «Oggi non me la sentirei di
manifestare contro i matrimoni combinati o la cultura religiosa che ha
una concezione per me lontanissima della libertà femminile. Prima vorrei
sentire le donne migranti, finora invisibili. Non sappiamo che cosa
pensano loro.»
Sennonché dovremmo interrogarci su questa "invisibilità", prodotto di
una cultura che ostacola l'espressione delle donne. Quelle poche
visibili, come la presidentessa delle donne marocchine, hanno
chiaramente avanzato la richiesta di pari diritti e, d'altra parte, il
fenomeno delle "preferenze adattive" ovvero delle preferenze vincolate
da tradizioni imprigionanti, che impediscono il solo pensiero di una
vita diversa, dovrebbe metterci in guardia dal semplice riferimento ai
"desideri espressi". L'imbarazzo e il silenzio del femminismo sono per
altro facilmente spiegabili. Essendo un movimento di liberazione che si
batte contro il pregiudizio di genere, esso dovrebbe per coerenza
lottare contro tutti i pregiudizi, compresi quelli culturali: da qui
l'idea diffusa della sua conciliabilità col multiculturalismo.
Il punto delicato è tuttavia la compatibilità con le visioni patriarcali
e maschilistiche che caratterizzano altre culture. Deve prevalere la
lotta contro il pregiudizio sessista - che è la ragione d'essere del
femminismo - in nome della dignità di ogni persona o il rispetto
assoluto per le altre culture - al di là dei loro aspetti manifestamente
misogeni e discriminatori - in nome dell'antirazzismo?
Dinanzi alla notizia del suicidio della giovane indiana Kaur - rimasta
vedova a 31 anni e costretta dai parenti a tornare in India per
risposarsi con il cognato di 70 anni, in ossequio alla tradizione - si
avverte una sorta di rimpianto per le femministe d'antan, quelle che
urlavano "tremate, tremate, le streghe son tornate" e che non avrebbero
esitato a schierarsi dalla parte di tutte le oppresse, indipendentemente
dall'etnia di appartenenza. A nessuna di loro sarebbe venuto in mente di
chiedere alle vittime quali fossero le loro preferenze, giacché
avrebbero presupposto - probabilmente a causa della loro scorrettezza
politica - che ogni essere umano preferisca essere libero piuttosto che
schiavo, mantenersi integro piuttosto che muti lato, scegliere se
sposarsi e chi sposare e cos via. Le femministe d'allora non erano
affatto relativiste, prendevano sul serio il valore dell'eguaglianza,
predicavano un universalismo che le portava a lottare per la liberazione
di tutte le donne, loro sorelle, in nome di una solidarietà che andava
al di là di ogni frontiera.
Oggi il femminismo s'e fatto maturo e tollerante ma, nella sua ansia di
voler rispettare tutte le differenze, anche quelle che vanno a scapito
dei diritti delle donne, rischia di condividere la scarsa attenzione dei
difensori del multiculturalismo proprio per quella sfera domestica nella
quale sono maggiormente presenti gli squilibri di potere tra i sessi.
Resta da chiedersi perché una donna che appartiene a una "civiltà
patriarcale" dovrebbe essere meno protetta dalla violenza maschile
rispetto alle altre. Perché mai la diversità culturale dovrebbe
legittimare la violazione dei diritti fondamentali di ogni essere umano?
La donna che si uccisa "si fatta sentire", come chiede l'esponente del
"nuovo femminismo". L'Occidente incarnava il suo sogno di libertà, se ne
aspettava un aiuto che le è stato negato, semplicemente voleva diventare
persona, decidere del suo destino. Non c'è riuscita a causa della nostra
ipocrisia e della nostra indifferenza. Nel suo testamento raccomanda a
noi i suoi figli perché restino in Italia e non subiscano il suo stesso
destino.