Il fascino e il segreto della Basilicata
La Basilicata è una regione che ha un fascino del tutto particolare che deriva specialmente dalle durezze e dalla sua estraneità sostanziale dalle categorie tradizionali della storia. “Una storia fuori della storia”, avrebbe detto Carlo Levi, lo scrittore che viene da lontano (dalla Torino novecentesca già immersa nelle asprezze del conflitto di classe) e che fa un quadro sorprendente della vitalità di un popolo e di una civiltà immersi in una immobilità carica di saggezza e di pazienza. Simbolo vivente di quella saggezza sono i Sassi di Matera restaurati e protetti dall'Unesco come un prezioso patrimonio che appartiene all'umanità intera. In quella che è una vera opera d'arte, frutto di autentica cultura del vivere, e del vivere insieme nelle più difficili condizioni ambientali e climatiche, c'è un messaggio inconfondibile di identità di un luogo e di un popolo che sanno perfettamente compenetrarsi. Alla Basilicata non mancano le attrazioni canoniche, una montagna ricca di suggestioni, un mare dalle trasparenze e dai colori unici, paesaggi che mescolano aridità geometriche quasi desertiche e verdissimi paesaggi mediterranei. E splendidi parchi naturali. Non manca (ed anzi riscopre a livelli di eccellenza) il rapporto tra i suoi prodotti tipici e il suo territorio. Propone ricchezze di riferimenti archeologici che rimandano alla notte dei tempi. Ma è in questa lezione del vivere, in questa capacità di capire e domare la natura senza oltraggiarla, in questo senso altrimenti incomprensibile della comunità e della solidarietà, che Levi ha reso universale, in tutto questo c'è il fascino ed insieme il segreto di questa terra.
La Lucania che è in ciascuno di noi
Elogio di una regione e di un popolo di antica ed incompresa cultura che oggi si lascia riscoprire e ripropone risorse e valori che ha provvidenzialmente custodito.
“Un
mondo immobile di chiuse possibilità infinite". È quello che cambia la vita, o meglio la visione della vita, di un giovane intellettuale torinese, indivisibilmente scrittore e pittore, che negli anni 1935-36 viene inviato dal regime fascista in soggiorno coatto in Lucania. Quell'intellettuale formatosi alla scuola della “rivoluzione liberale” di Piero Gobetti si chiama Carlo Levi e il suo celebre libro Cristo si è fermato ad Eboli è lo scrigno prezioso che contiene e preserva quella scoperta. Il confino (la fortuna di “essere libero dal proprio tempo, così da esso esiliato, da poter essere veramente un contemporaneo”) per Carlo Levi diventa insperatamente l'occasione per “farsi adulto”. Così descrive quel mondo, quella "Lucania che è in ciascuno di noi" in una lettera del giugno 1963 al suo editore, Giulio Einaudi: “Forza vitale pronta a diventare forma, vita, istituzioni, in lotta con le istituzioni paterne e padrone e, nella loro pretesa di realtà esclusiva, passate e morte”. È questa una sorta di archetipo, di principio di vita, di legge storica ed antropologica che ritroviamo sempre e continuamente nel divenire della civiltà e della cultura lucana.
Non si può immaginare chiave migliore di quella regalataci da Carlo Levi per conoscere la Lucania (o Basilicata, che dir si voglia) ed utilmente visitarla, beninteso fuori dagli schemi e dalle pratiche devastanti del turismo mordi e fuggì. C'è qualche ragione in più per farlo oggi poiché si ha la forte percezione che le “chiuse possibilità infinite” stiano cercando di riaprirsi e che quella straordinaria e nascosta regione abbia oggi il desiderio e la forza di riaffacciarsi alla storia. È il modo stesso con cui la Basilicata e i lucani rileggono la propria identità e la propria cultura, persino nelle politiche di promozione del loro territorio, a farlo pensare. L'impressione è che essi abbiano smesso di emigrare nelle due forme storicamente consolidate, e in realtà coincidenti, in cui avevano imparato a farlo: esiliandosi nel proprio territorio o cercando lavoro e fortuna altrove. Un “altrove” che – ce lo ha spiegato una volta per tutte Levi - è sempre e comunque la Lucania. L'emblema di tutto questo sono i Sassi di Matera: la baraccopoli, “vergogna nazionale”, nell'Italia del secondo dopoguerra che s'illudeva di coinvolgere e stravolgere il Sud in un processo di industrializzazione forzata è diventata nell'Italia post-industriale di fine Novecento un monumento all'ingegneria di habitat rupestre, una geniale forma di insediamento segnato da raffinati sistemi relazionali tipici della cultura bizantina che hanno aperto le strade al modello occidentale di città. A Matera la Lucania ha ritrovato quello che il grande storico Cesare Brandi ha definito “il suo corpo mistico, l'effigie remota della sua storia”.
È così accaduto, infine, che la baraccopoli si sia trasformata in patrimonio dell'umanità tutelato dall'Unesco. Alla luce di tutto questo, della riscoperta di una stratificazione profonda della cultura lucana, persino le agenzie turistiche hanno capito che c'è un modo alternativo ed intelligente di promuovere la conoscenza di una delle più antiche, colte ed intriganti civiltà d'Italia, preservata con eccezionale e consapevole lungimiranza, e per secoli, dai suoi abitanti nell'intimo di una regione da sempre tagliata fuori dal grand tour, ma grand tour in se medesima. Una regione che nulla ha di selvaggio e di incontaminato perché tutto in essa è stato modellato dalla mano invisibile del tempo, dalla lotta intensa e leale tra uomo e natura. Gli altipiani calcarei non meno che i boschi cedui e i parchi arborati. L'identità del territorio è un combinato affascinante di elementi morfologici, naturalistici ed antropici. È dalla ricchezza economica che tutto questo oggi dona che si parte per disegnare quello che gli economisti chiamano "un nuovo modello di sviluppo", un progetto di futuro così realisticamente piantato sulle risorse autentiche del territorio.
Conoscendo in modo nuovo la Basilicata l'aiutiamo a liberarsi dalla sindrome dell'abbandono. Che non è una malattia della psiche ma l'amara eredità della storia, quella fatta di nomi, di date, di guerre e di dominazioni alla quale avremmo tanto bisogno di mostrarci indifferenti. È una storia di punizioni che vengono inferte ad un popolo forte ed orgoglioso, che purtroppo quasi sempre si viene a trovare dalla parte dei perdenti. Accade così nel corso della guerra che vede Roma opporsi ad Annibale e soprattutto dopo quando i romani trasformano il territorio lucano in agerpublicus e lo lasciano alla
mercé dei loro capitalisti del tempo che lo sfruttano impietosamente e sradicano il ceto rurale che ne aveva fatto un'economia vitale.
Un grande storico come Arnold J. Toynbee spiega da par suo come questo sia una vicenda basilare e fondante del sottosviluppo nell'Italia del Sud anche dal punto di vista agricolo, che poteva essere (e potrà essere) un suo straordinario punto di forza. Da allora la storia della Lucania, poi Basilicata, è la storia di un continuo ed inesauribile tentativo di alzare la testa, di una ribellione quasi sempre tenace e silenziosa, massimamente dignitosa. Anche il suo poeta più celebrato,
Quinto
Orazio Flacco, figlio di un liberto di Venosa, riuscì a schierarsi con Bruto e Cassio contro Cesare e divenne tribuno militare del loro esercito. Fu poi perdonato da Ottaviano ma, da inguaribile lucano, non si assimilò mai pienamente all'establishment imperiale e non smise mai di contestare il potere di cui poeti a lui contemporanei erano, a tutti gli effetti, i cantori. Come sempre, la dignità prima di tutto.
Lucania, terra dei “Briganti”, che schierandosi con re Francesco di Borbone, si opposero per dieci lunghi anni all’esercito piemontese e dei loro alleati, i borghesi liberali, che si impossessavano delle terre demaniali ed ecclesiastiche, ed estromettevano i contadini dal libero uso prima concesso dalla legislazione borbonica. Lucania, che nel 1860 aveva più abitanti di adesso.
Articolo tratto da Ulisse, rivista di bordo dell’Alitalia, di Aldo Canale, giornalista ed editore, Speciale Basilicata Cultura, 2004, trasmessoci dalla
dr.ssa Giulia Libutti, cui vanno i nostri
ringraziamenti |