Note sull'artista
Antonino Mancuso Fuoco (Capizzi, 13
giugno 1921 – 30 giugno 1996) è stato un pittore naïf italiano, unico
siciliano presente al Museo Internazionale d'Arte Naïve Charlotte
Zander di Bönnigheim (D) e al Musée International d'Art Naïf
Anatole Jakovsky di Nizza (F).
Biografia
Trascorse l'infanzia insieme ai suoi
cinque fratelli nel paese natio. Ultimate le scuole elementari, iniziò a
lavorare nei campi con il padre. Tra una pausa e l'altra si dilettava a
lavorare il legno, a disegnare con un pezzo di carbone su qualche pietra
e col suo coltellino incideva talvolta delle figure anche sui cladodi
dei fichi d'india, ma in lui era viva la veemente predilezione per la
pittura, difatti non esiterà in seguito ad acquistare pennelli e colori
ad olio per dipingere su tela. La chiamata alle armi nel 1942, durante
la seconda guerra mondiale, lo costrinse a raggiungere prima Novara e,
nel 1943, Bari, tenendolo lontano dagli affetti più cari. Finita la
guerra nel 1945, riprese il ritmo di sempre, ma la dipartita dei
genitori segnò una svolta nella sua vita, che non avrà più i colori del
passato. Contrasse il primo matrimonio, di brevissima durata, il 24
aprile 1947, con una ragazza del luogo che scomparve prematuramente. Il
1º luglio 1948 ne sposò la sorella, Maria, da cui ebbe tre figli. Alla
fine degli anni cinquanta contribuì al finanziamento di un'impresa edile
locale senza ottenere i risultati sperati, al contrario, fu costretto,
nel 1964, ad emigrare per dieci mesi a Ulm Donau (Germania) e lavorare
per potere far fronte alla situazione fallimentare dell'impresa e
onorare gli impegni assunti. Per breve tempo rientrò a Capizzi, dove
svolse diversi lavori bastevoli al sostentamento della famiglia.
Insoddisfatto della precarietà lavorativa decise di raggiungere Torino
dove iniziò a lavorare presso la Società Ippica di Nichelino. Intanto
non abbandonava la passione per la pittura e nei pochi momenti liberi
non esitava a coltivarla. A cinquant'anni, colpito da paresi facciale,
fu costretto a rientrare in paese. Avvilito dalla nuova condizione
fisica, il suo entusiasmo sminuì. Solo una commissione gli consentì di
riutilizzare quella “tecnica dell'anima” che lo porterà ad una densa
produzione artistica. A renderla nota fu uno spazio dedicatogli sul
“Bolaffiarte” del febbraio 1973. Da allora in poi fu un proliferare di
opere d'arte, che avanzeranno sempre più decise verso un tripudio di
luci. Trascorse il suo tempo restante tra Capizzi e lembi di terra
viciniori; sulle tele diventano predominanti scorci tipici della zona
nebroidea, il pennello lumeggia tra tratti e guizzi con la vivezza della
serena concitazione visiva dinanzi alla natura che non finisce mai di
corteggiarlo. Un'eccitazione mentale vera e propria quella di Mancuso
trasformata in un'accensione cromatica che si indirizza verso dei
valori, un modus vivendi che diventa pittura. Si spense nel pomeriggio
estivo del 30 giugno 1996.
Attività
artistica
Nei quadri organizza degli spazi, li
definisce avvalendosi dell'istintività del pennello delineando immagini
secondo un percorso che conduce a luoghi abitati. Impasta colori
naturali su una tavolozza che impreziosisce di diverse tinte, l'azzurro
del cielo non esita ad intrecciarsi alle gradazioni del verde e ad
essere accoltellato da brillanti colori porporini. I colori raggianti
fanno capolino su sconfinati paesaggi a volte “incoronati” da montagne
che sbadigliano, da albe che fanno la staffetta con il crepuscolo o da
stelle che duellano con la neve. Ed in questo gioco di luci ed ombre
finisce per “ordire”e “trapuntare” bozzetti di vita bucolica: essi
segnano sulla tela una lingua di tempo individualistico che respira
fedele alle leggi dell'improvvisazione fluente e vorticosa, raccontando
ineguagliabili vissuti. Qualche volta “deflora” il dipinto con ritratti
che assumono una connotazione biografica eslege (Papa Giovanni XXIII),
talaltra un'interpretazione “filtrata” oggettivamente (Louis Armstrong,
Walt Disney) ed infine specchiandosi (Autoritratto). L'"armatura" della
sua produzione è la vitalità e dinanzi alla sua ultima produzione
svapora ogni tristezza. E lì, ancora una volta, i campi agresti
accompagnano la sua ricercata solitudine che si abbevera di quella
“fiumana” vitale che attraversa la tela. Una lingua di tempo senza tempo
intercetta, nella brezza di quel lembo azzurrino, una sorgente
speranzosa di vasti spazi generosi, abbondanti, dove ogni sognare trova
posto e l'anima, con larghezza ineguagliabile, rompe gli avari termini
che misurano il giorno. Dolcezze di focolare domestico, memorie di
quadrupedi danno movimento al giorno felino che adunghia le porte chiuse
dell'abitato dove preme il silenzio. Avventurosamente la luce abbraccia
forme vacillanti dai contorni approssimati, scorge una natura non cieca
di uomini e in cui chi guarda decrocifigge gli aneliti desiderosi di
vedere oltre l'orizzonte... Ed Egli, creativo dei Nebrodi, con i suoi
pennelli, finisce per addomesticare le sensazioni rapsodiche
trasformandole in un inno alla vita, passionale colore che si ripara
nelle viscere, ristagna nella solitudine e diventa chiave segreta di ciò
che non ammireremo mai.
Per le esposizioni e per la
bibliografia visita la pagina
http://it.wikipedia.org/wiki/Antonino_Mancuso_Fuoco
Si ringrazia la sig.ra Maria Giacoma
Mancuso Fuoco, figlia del maestro, del materiale con cui è allestita la
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