la collezione d'arte: Antonino Mancuso Fuoco

"Come si fa il carbone" 1989 cm 60x80


"La mietitura" 1987 cm 50x70. Nizza, Musée International d'Art Naïf Anatole Jakovsky


"Il contadino stanco" 1975 cm 45x55


"Pecore al pascolo" 1990 cm 50x70


Note sull'artista

Antonino Mancuso Fuoco (Capizzi, 13 giugno 1921 – 30 giugno 1996) è stato un pittore naïf italiano, unico siciliano presente al Museo Internazionale d'Arte Naïve Charlotte Zander di Bönnigheim (D) e al Musée International d'Art Naïf Anatole Jakovsky di Nizza (F).

Biografia

Trascorse l'infanzia insieme ai suoi cinque fratelli nel paese natio. Ultimate le scuole elementari, iniziò a lavorare nei campi con il padre. Tra una pausa e l'altra si dilettava a lavorare il legno, a disegnare con un pezzo di carbone su qualche pietra e col suo coltellino incideva talvolta delle figure anche sui cladodi dei fichi d'india, ma in lui era viva la veemente predilezione per la pittura, difatti non esiterà in seguito ad acquistare pennelli e colori ad olio per dipingere su tela. La chiamata alle armi nel 1942, durante la seconda guerra mondiale, lo costrinse a raggiungere prima Novara e, nel 1943, Bari, tenendolo lontano dagli affetti più cari. Finita la guerra nel 1945, riprese il ritmo di sempre, ma la dipartita dei genitori segnò una svolta nella sua vita, che non avrà più i colori del passato. Contrasse il primo matrimonio, di brevissima durata, il 24 aprile 1947, con una ragazza del luogo che scomparve prematuramente. Il 1º luglio 1948 ne sposò la sorella, Maria, da cui ebbe tre figli. Alla fine degli anni cinquanta contribuì al finanziamento di un'impresa edile locale senza ottenere i risultati sperati, al contrario, fu costretto, nel 1964, ad emigrare per dieci mesi a Ulm Donau (Germania) e lavorare per potere far fronte alla situazione fallimentare dell'impresa e onorare gli impegni assunti. Per breve tempo rientrò a Capizzi, dove svolse diversi lavori bastevoli al sostentamento della famiglia. Insoddisfatto della precarietà lavorativa decise di raggiungere Torino dove iniziò a lavorare presso la Società Ippica di Nichelino. Intanto non abbandonava la passione per la pittura e nei pochi momenti liberi non esitava a coltivarla. A cinquant'anni, colpito da paresi facciale, fu costretto a rientrare in paese. Avvilito dalla nuova condizione fisica, il suo entusiasmo sminuì. Solo una commissione gli consentì di riutilizzare quella “tecnica dell'anima” che lo porterà ad una densa produzione artistica. A renderla nota fu uno spazio dedicatogli sul “Bolaffiarte” del febbraio 1973. Da allora in poi fu un proliferare di opere d'arte, che avanzeranno sempre più decise verso un tripudio di luci. Trascorse il suo tempo restante tra Capizzi e lembi di terra viciniori; sulle tele diventano predominanti scorci tipici della zona nebroidea, il pennello lumeggia tra tratti e guizzi con la vivezza della serena concitazione visiva dinanzi alla natura che non finisce mai di corteggiarlo. Un'eccitazione mentale vera e propria quella di Mancuso trasformata in un'accensione cromatica che si indirizza verso dei valori, un modus vivendi che diventa pittura. Si spense nel pomeriggio estivo del 30 giugno 1996.

Attività artistica

Nei quadri organizza degli spazi, li definisce avvalendosi dell'istintività del pennello delineando immagini secondo un percorso che conduce a luoghi abitati. Impasta colori naturali su una tavolozza che impreziosisce di diverse tinte, l'azzurro del cielo non esita ad intrecciarsi alle gradazioni del verde e ad essere accoltellato da brillanti colori porporini. I colori raggianti fanno capolino su sconfinati paesaggi a volte “incoronati” da montagne che sbadigliano, da albe che fanno la staffetta con il crepuscolo o da stelle che duellano con la neve. Ed in questo gioco di luci ed ombre finisce per “ordire”e “trapuntare” bozzetti di vita bucolica: essi segnano sulla tela una lingua di tempo individualistico che respira fedele alle leggi dell'improvvisazione fluente e vorticosa, raccontando ineguagliabili vissuti. Qualche volta “deflora” il dipinto con ritratti che assumono una connotazione biografica eslege (Papa Giovanni XXIII), talaltra un'interpretazione “filtrata” oggettivamente (Louis Armstrong, Walt Disney) ed infine specchiandosi (Autoritratto). L'"armatura" della sua produzione è la vitalità e dinanzi alla sua ultima produzione svapora ogni tristezza. E lì, ancora una volta, i campi agresti accompagnano la sua ricercata solitudine che si abbevera di quella “fiumana” vitale che attraversa la tela. Una lingua di tempo senza tempo intercetta, nella brezza di quel lembo azzurrino, una sorgente speranzosa di vasti spazi generosi, abbondanti, dove ogni sognare trova posto e l'anima, con larghezza ineguagliabile, rompe gli avari termini che misurano il giorno. Dolcezze di focolare domestico, memorie di quadrupedi danno movimento al giorno felino che adunghia le porte chiuse dell'abitato dove preme il silenzio. Avventurosamente la luce abbraccia forme vacillanti dai contorni approssimati, scorge una natura non cieca di uomini e in cui chi guarda decrocifigge gli aneliti desiderosi di vedere oltre l'orizzonte... Ed Egli, creativo dei Nebrodi, con i suoi pennelli, finisce per addomesticare le sensazioni rapsodiche trasformandole in un inno alla vita, passionale colore che si ripara nelle viscere, ristagna nella solitudine e diventa chiave segreta di ciò che non ammireremo mai.


Per le esposizioni e per la bibliografia visita la pagina http://it.wikipedia.org/wiki/Antonino_Mancuso_Fuoco


Si ringrazia la sig.ra Maria Giacoma Mancuso Fuoco, figlia del maestro, del materiale con cui è allestita la presente pagina web

Centro Culturale e di Studi Storici "Brigantino - il Portale del Sud" - Napoli e Palermo admin@ilportaledelsud.org ®copyright 2012: tutti i diritti riservati. Webmaster: Brigantino.

Sito derattizzato e debossizzato