Segreto di Stato su tutte le ville di Berlusconi
di
Anna Tarquini
Leggendo i decreti così, a caldo, sembra di essere catapultati in uno scenario da terza guerra mondiale. Scrive il ministero dell’Interno: «È necessario individuare una sede alternativa di massima sicurezza per l’incolumità del presidente del Consiglio e per la continuità delle azioni di governo ...». A una visione più attenta il segreto di Stato che Berlusconi vuole apporre su tutti i suoi beni sono solo il trucchetto quasi legale trovato da un architetto scaltro che ha in mente di sventrare un’area vincolata come bene paesaggistico, come bene dell’umanità.
A una terza lettura appare quello che è: la garanzia di impunità assoluta per tutti i familiari, soprattutto impunità da qualsiasi iniziativa giudiziaria sui beni. Non solo villa Certosa, ma tutte le ville del premier sono soggette a segreto di Stato. Da ieri sul tavolo del Copaco, il Comitato per il controllo sui servizi segreti, sono finiti due decreti del Viminale che stabiliscono il vincolo di segretezza su tutte le residenze comprese quelle di mamma, moglie e figli. Vietato l’accesso agli estranei, ma soprattutto vietato a qualsiasi magistrato di indagare su eventuali violazioni di legge (come per villa Certosa) o chiedere ispezioni o controlli.
Trasparenza
I decreti sono stati trasmessi lo scorso 7 febbraio dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Non senza difficoltà. Più volte il presidente del Copaco Enzo Bianco ne aveva chiesta la visione e più volte Letta gliel’aveva negata. I decreti sono datati 6 maggio 2004. A quel periodo risale infatti la richiesta della procura di Tempio Pausania di dare corso a un’ispezione all’interno di villa Certosa (dove Berlusconi ha fatto costruire un anfiteatro e un tunnel sotterraneo per l’accesso dal mare) per verificare il rispetto dei vincoli paesaggistici.
Il ministero dell’interno si oppone all’ispezione e la blocca motivando con la necessità del segreto di Stato. Ma la procura non si arrende ed il 5 novembre scorso chiede conferma dell'' effettiva ricorrenza del segreto di Stato alla presidenza del Consiglio. Risponde a dicembre il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, Gianni Letta, che conferma il segreto per le esigenze di «protezione e sicurezza del presidente del Consiglio». La procura a questo punto ricorre alla Consulta, sostenendo l''illegittimità costituzionale del segreto di Stato. La Consulta si deve ancora pronunciare.
Solo ieri si è venuto però a sapere che il segreto di Stato non è limitato a villa Certosa. Infatti, uno dei due decreti del ministero dell'' Interno consegnati al Copaco contiene l'' approvazione del “Piano nazionale per la gestione di eventi di natura terroristica”, all'' interno del quale c'' è anche il Piano di sicurezza per Villa Certosa, che resta però secretato. L’altro decreto indica tutte le residenze private e le loro pertinenze, nonché quelle dei familiari e dei diretti collaboratori. Si sottolinea poi l''urgenza di individuare la «sede alternativa di massima sicurezza per l''incolumità del presidente del Consiglio e per la continuità dell'' azione di Governo» e, su proposta del ministro dell''Interno, Giuseppe Pisanu, viene indicata Villa Certosa. Sia la sede di massima sicurezza (Villa Certosa), sia le residenze private del premier e dei suoi familiari, rileva il decreto, sono soggette alla legge 801/77. Si tratta della legge che disciplina, tra l'' altro, il segreto di Stato.
Vicenda surreale
Durissime le critiche dell’opposizione. «Una vicenda surreale e inaccettabile - dice Ermete Realacci (Margherita) - che ci copre di ridicolo agli occhi dell'' Europa. Non sono certo i magistrati che indagano su ipotesi di abusivismo edilizio la minaccia terroristica da cui il Paese deve difendersi». Per il presidente dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, è stato «superato il limite della decenza. Si ricorre al segreto di Stato per dare una parvenza di legalità ai lavori abusivi eseguiti in una residenza privata. Un atteggiamento che tradisce l'' arroganza del premier, ormai abituato a considerare l''Italia una sua proprietà privata». Secondo il senatore Paolo Brutti (Ds), «ora bisognerebbe parlare di “Case delle libertà”. Abbiamo, cioè, uno stuolo sterminato di agevolati che somiglia tanto alle regole speciali che venivano fatte per la famiglia Bonaparte dallo stesso Napoleone».
L’Unità, febbraio 2005 |