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Molise

Agnone

 

Campana felix

Non è vero che le campane siano stonate. Per sfatare uno dei luoghi comuni più diffusi, è utile arrampicarsi fino ad Agnone, paesino di seimila abitanti arroccato sui monti dell'Alto Molise, in provincia di Isernia, che ha dato i natali a manager di punta come Vito Gamberale e Rocco Sabelli (amministratori delegati rispettivamente di Autostrade e gruppo Colaninno-Piaggio). Qui ha sede la più antica fonderia di campane del mondo, gestita da almeno 700 anni dalla stessa famiglia, i Marinelli, a pieno titolo la dinastia imprenditoriale più longeva d'Italia, molto più degli Agnelli e dei Pirelli, e alla pari di produttori di vino blasonati come Ricasoli o Frescobaldi. La storia dei Marinelli, arrivati alla soglia della trentunesima generazione, si identifica con quella delle campane e con l'evoluzione avuta da questo strumento sacro poi adottato dalla società civile, il cui nome indica inequivocabilmente la terra d'origine, la Campania appunto, lontana neppure cento chilometri da Agnone.

Tutto ebbe inizio nel IV secolo quando, dopo l'editto di Costantino, i Cristiani poterono uscire dalla clandestinità e cominciarono a impiegare trombe, martelli e campanelle per richiamare i fedeli. La campana rappresentò un'innovazione rispetto a quei primi rudimentali strumenti e fu chiamata così proprio perché il bronzo della Campania era ritenuto il migliore. La prima campana fece udire i suoi rintocchi nel 410 su iniziativa di San Paolino, vescovo di Nola. Con il tempo, è diventata un simbolo non soltanto religioso, ma anche sociale: dalla Martinella, che rappresentava la libertà dei Comuni all'epoca di Federico Barbarossa, fino alla consacrazione da parte dei poeti (L'ora di Barga di Giovanni Pascoli) e alle recenti campane fabbricate per gli eventi sportivi. In questa storia, il ruolo di Agnone e dei Marinelli è centrale. «Sulla campana della chiesa di Posta Fibrino, in provincia di Frosinone, sono incisi la data del 1339 e il nome del costruttore, Nicodemo Marinelli, un mio antenato», spiega Armando Marinelli, 44 anni, che insieme con il fratello Pasquale, 34 anni, gestisce la Fonderia Pontificia Marinelli, dodici dipendenti e 500mila euro di ricavi a fine 2003, con una produzione media di 50 campane all'anno. «Ma probabilmente l'attività della famiglia risale all'anno Mille», aggiunge l'imprenditore. La Tavola Osca di Agnone, reperto archeologico conservato al British Museum di Londra, attesta infatti come su questi monti la fusione dei metalli fosse praticata già duemila anni fa. La fabbrica dei Marinelli, «la bottega» come dicono loro, si trova in paese, tra le case che racchiudono un piccolo cortile sul cui fondo si apre la fonderia, che esibisce all'esterno non meno di venti campane. Dentro, nel museo allestito dai Marinelli e intitolato a Giovanni Paolo II, più di un migliaio di reperti: da una campana dell'anno Mille, senza iscrizioni o fregi, fino agli attrezzi usati nel corso dei secoli. La fonderia è di fianco, ancora con i forni a legna - a cui se n'è aggiunto uno a metano - e con un forte impiego di manodopera. «La manualità e l'esperienza sono tutto in questo lavoro», sottolinea Marinelli, ricordando come ciascun membro della famiglia abbia imparato il mestiere dai genitori e dai nonni, assorbendone la passione. Fare una campana non è una banale operazione di fonderia: servono tempo, circa tre mesi, e grande cura.

La forma è ottenuta sulla base di tre elementi di fondo, a cui corrispondono altrettante fasi di lavoro: l'anima, la falsa campana e il mantello. L'anima è costituita da una sagoma di legno che funge da struttura per una costruzione di mattoni che riproduce l'interno della campana. La superficie di questa parte viene ricoperta e lisciata con argilla. La falsa campana è invece costruita in cera, su cui sono applicati fregi, scritte e decorazioni, sempre in cera. Il mantello, infine, è fatto di argilla e viene applicato sopra la falsa campana fino allo spessore desiderato. A questo punto entra in gioco il fuoco. La struttura viene riscaldata e con la tecnica della cera persa, che si scioglie per il calore, la composizione artistica rimane impressa in negativo sul mantello. Una volta distrutta la falsa campana, nello spazio libero createsi tra l'anima e il mantello s'introduce il bronzo fuso a 1.200 gradi, che viene fatto raffreddare lentamente. «La lega di metallo deve essere composta di 78 parti di rame e 22 di stagno, per avere un bronzo ad alto potere vibratorio», dicono in fonderia. «Un nostro antenato, Tommaso, nel 1800 scriveva che per essere buoni fonditori di campane bisogna avere ottime nozioni scientifiche -dice Marinelli - e un altro, Alessandro, nello stesso secolo, inventò la scala campanaria, che consente di decidere quali note far suonare allo strumento». E così si sfata il luogo comune: «Se una campana stona vuoi dire che è rotta o difettosa», commenta Marinelli. Una campana può suonare perfettamente fino a quattro note, a seconda di dove batte il battaglio, e la tonalità viene decisa già in fase di progettazione in funzione di cinque elementi geometrici fondamentali: il diametro di base, quello di testa, l'altezza, lo spessore massimo e quello minimo. «Ricordo - racconta l'imprenditore - quando mio padre Ettore, insieme con lo zio Pasquale, si chiudeva in una stanza per realizzare in gran segreto il progetto di una nuova campana, finché un giorno autorizzò queste riunioni clandestine anche a me e a mio fratello». È impossibile dire quante campane abbia costruito l'azienda molisana. «Di sicuro migliaia e non solo per chiese e diocesi, ma anche per clienti privati, in ogni angolo del mondo», dice Marinelli. Uno dei lavori più prestigiosi realizzati ad Agnone è stato consegnato a Pisa proprio in questi giorni: si tratta della quinta campana della Torre pendente, lesionata sessantanni fa e riprodotta esattamente come la progettò e fece costruire Niccolo Castelli nel 1600. Ha un metro di diametro, pesa seicento chili ed è costata 15mila euro. «Lavorare per l'Opera del Duomo di Pisa - sottolinea Marinelli - è un onore e uno stimolo a proseguire sulla strada che non abbiamo mai abbandonato». Neppure per tentare avventure economicamente più vantaggiose. «Dalle nostre parti ci hanno provato in tanti: chi nella ceramica, chi nell'alimentare, chi nel tessile, ma mica sempre hanno avuto successo», aggiunge. I Marinelli potrebbero avere la tentazione del business turistico, per sfruttare il flusso di 25mila visitatori che ogni anno, senza pubblicità o promozioni, arriva ad Agnone per vedere il museo Giovanni Paolo II. «Siamo campanari e questo vogliamo continuare a essere», dicono però, con l'orgoglio e la fede che li contraddistingue nel ricordare come Pio XI, amico personale del bisnonno di Armando, abbia concesso nel 1924 l'onorificenza e il marchio Pontificio alla Fonderia Marinelli, dove anche l'attuale Papa è stato personalmente in visita nel 1995. «Le campane - concludono gli artigiani di Agnone - vanno rispettate perché sono la voce del Signore». E dei Marinelli, potremmo aggiungere più laicamente.


Articolo liberamente tratto da un’intervista di Cesare Peruzzi, Ventiquattro n.8, 3.7.04, trasmessaci dal sig. Isidoro Buono, che ringraziamo

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